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Inquinamento e trasmissione del Coronavirus: c’è un collegamento?

Intervista a Fabrizio Bianchi Direttore dell’Unità di ricerca in epidemiologia ambientale, dell’Istituto di fisiologia clinica, del CNR di Pisa

Inquinamento

La Rete Italiana Ambiente e Salute, progetto del Centro Controllo Malattie del Ministero della Salute, che sviluppa sinergie tra il Servizio Sanitario Nazionale e il Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale ha pubblicato nei giorni scorsi un documento di posizionamento che cerca di fare il punto e porsi delle domande sul collegamento tra inquinamento e le modalità di trasmissione del Coronavirus in Italia.

L’ipotesi principale è che un’alta concentrazione di particolato renda il sistema respiratorio più suscettibile all’infezione e alle complicanze della malattia da Coronavirus. Piu è alta e costante nel tempo (come per gli anziani) l’esposizione all’inquinamento e più è alta la probabilità che il sistema respiratorio sia predisposto ad una malattia più grave. D’altra parte, è già noto che l’inquinamento atmosferico, subito dopo dieta, fumo, ipertensione e diabete è uno dei fattori di rischio più importanti per la salute e causa ogni anno 2.9 milioni di morti in tutto il mondo.

Una seconda ipotesi tutta da verificare è che il particolato atmosferico possa essere un supporto (Carrier) per la diffusione del virus per via aerea, ma questa ultima ipotesi non sembra avere alcuna plausibilità biologica. Infatti, pur riconoscendo al PM la capacità di veicolare particelle biologiche come batteri, spore, pollini, virus, funghi, alghe, frammenti vegetali, appare implausibile che il Coronavirus possa mantenere intatte le caratteristiche morfologiche e le proprietà infettive anche dopo una permanenza più o meno prolungata nell’ambiente esterno.

Ecco la nostra intervista a Fabrizio Bianchi Direttore Unità di ricerca in epidemiologia ambientale, dell’Istituto di fisiologia clinica, del CNR di Pisa.

Si può ipotizzare che l’inquinamento sia una con-causa nelle regioni del nord come Lombardia, Piemonte e Veneto che sono anche regioni con un alto inquinamento?
Di ipotesi se ne possono fare tante, le ipotesi però devono essere ragionevoli e robuste perchè sennò in una situazione come questa si rischia di avere molte ipotesi da testare e poche forze per testarle. Bisogna tenere conto dell’urgenza, della delicatezza e della drammaticità della fase e tra le tante ipotesi cercare di testare quelle che riteniamo più attendibili. I co-fattori possono essere tanti bisogna capire quanto sono importanti. Io penso personalmente che l’inquinamento possa giocare da modificatore di effetto tra la presenza di Covid e lo sviluppo della malattia. Questo ci sembra un buon punto di partenza. Ricordiamo che ci sono aree inquinate con scarsa presenza di Covid, faccio l’esempio di Taranto, Roma, città importanti che si sa che sono inquinate ma che non hanno mostrato una particolare diffusione del virus.

Con il lockdown è diminuita drasticamente la mobilità delle persone e quindi c’è stato anche un calo dell’inquinamento. Questo ‘stop’ aiuterà l’ambiente o è una falsa illusione?
Dipende da come riprenderemo nella fase 2 e nella fase 3. Se si ha intenzione di ricominciare con lo stesso approccio, con lo stesso meccanismo e con gli stessi obiettivi che avevamo prima, vuol dire che abbiamo capito poco e quindi l’inquinamento si rialzerà. Molte industrie hanno continuato a lavorare anche durante il lockdown, ha continuato a circolare il traffico pesante, giustamente per portare generi di prima necessità, quindi abbiamo avuto sicuramente un risparmio di inquinanti legati al traffico veicolare privato, per quanto riguarda gli ossidi di azoto, ma la situazione ha inciso molo meno sulle polveri. Le polveri arrivano da lontano, dieci giorni fa per esempio la pianura padana è stata interessata da forti flussi di polveri provenienti da est, dal Mar Caspio e quindi ci sono stati livelli di inquinamento dello stesso tipo o in alcune aree anche superiori al periodo precedente al virus. Il lockdown porta la lezione che si può vivere anche in un altro modo, vedremo se dopo sapremo interpretare un po’ meglio la nostra vita. O se riprenderemo pensando di riguadagnare tutto quello che abbiamo perso.

Se pensiamo che comunque sarà incentivato lo spostamento con l’auto privata perchè è più sicuro, forse ci aspettiamo anche un peggioramento dell’inquinamento, penso sia inevitabile che questo avvenga
Sarà possibile diluire il tipo di lavoro, molte attività continueremo a farle anche a casa, visto che abbiamo sperimentato che per molti è possibile lavorare in questa modalità. Io personalmente è già due settimane che lavoro da casa molto bene con Skype o teleconferenze e altri strumenti. Quindi siamo in contatto con tutti, penso che bisognerà fare anche questa riflessioni. Non necessariamente dovremo tornare tutti in ufficio. Non sarà così, perchè dovremo stare molto attenti nella fase 2.

Nella parte finale del vostro documento citate il fatto che in America l’EPA l’agenzia per la protezione dell’ambiente statunitense ha abbassato l’attenzione alle norme applicate agli impianti industriali, lei cosa ne pensa? Che ripercussioni avrà?
È una scelta del presidente Trump che ha chiesto all’EPA di sospendere alcuni regolamenti e normative perchè hanno bisogno dove possono di lavorare intensamente, sfruttare le risorse, carbone, petrolio, in deroga alle leggi esistenti. Io penso che questo sia un cercare di uscire dalla crisi che ci ha colpito così drammaticamente con la stessa forma e usando gli stessi strumenti che ci hanno portato alla crisi. Quindi se uno pensa di uscire dopo allentando le misure di salvaguardia è come tagliare il ramo su cui stiamo seduti. Dal Covid non sarà facile uscire perchè avremo una serie di ondate da controllare e poi dopo non è detto che arrivino altre ondate provenienti sempre da est dove c’è una mutazione dei rapporti tra animali e esseri umani. Inoltre cambiano le possibilità di infettare, in un mondo globalizzato i virus così come i batteri possono arrivare ovunque, questa è la lezione che dobbiamo apprendere e comprendere in profondità.

Si parla tanto di questo fantomatico pipistrello che avrebbe dato origine al Covid, siamo quindi di fronte all’invasione dell’uomo in un ecosistema in cui forse non doveva mettere piede. Ma io mi chiedo non è sempre stato così? Perché il virus si è sviluppato solo adesso?
Perchè si introducono cambiamenti e noi abbiamo difficoltà ad adattarci, i virus sono sulla terra da tre miliardi e mezzo di anni e quindi possono vivere latenti e inattivi, poi attiverei e mutare. Queste sono cose che conosciamo e che sappiamo, quello che non avevamo sperimentato è la virulenza e la drammaticità di quello che può accadere. Si pensava ad un’altra pandemia come quella del 2003, invece è stata quasi come la Spagnola, che se fosse stata lasciata correre avrebbe fatto decine o centinaia di milioni di morti. Se poi si continua a negare o a non voler vedere che questi problemi ci sono, dovremmo anche prenderci la responsabilità e l’onere delle nostre scelte.

Qual è la differenza tra la Sars del 2003 e il Coronavirus?
Sono tante le motivazioni, questo virus è diverso, non ci sono antivirali specifici, non c’è vaccino. Non eravamo preparati a un virus così cattivo e che crea tutti questi problemi. Non si sa quale sarà il prossimo, conviene fare in modo che non ci sia il ‘prossimo’.

 

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