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Chiara Valerio: ‘Le donne devono essere più brave e veloci degli uomini’

La scrittrice e saggista sarà ospite del quarto appuntamento della rassegna “Autori di oggi, capolavori di ieri” in programma domani alle 17 nella Villa di Artimino

Nei giorni in cui si celebra la Giornata Internazionale della Donna nella splendida Villa di Artimino, per il terzo appuntamento della rassegna letteraria “Autori di oggi, capolavori di ieri”, domani, sabato 9 marzo alle 17, la scrittrice, saggista e da qualche anno editor per Marsilio Editori, Chiara Valerio, rileggerà il capolavoro di una delle più grandi autrici del Novecento, nonché prima donna ad essere stata eletta alla prestigiosa Académie française, Marguerite Yourcenar.

L’intervista a Chiara Valerio inizia da qui: da una riflessione sul ruolo della donna a partire da Plotina. È la stessa Yourcenar, infatti, raccontando le memorie del grande imperatore Adriano a rivolgere il pensiero alla consorte di Traiano (padre di Adriano) e riflettere sul fatto che sarebbe stato impossibile narrare le memorie di un personaggio femminile.

 Chiara, quasi settanta anni dopo, la Yourcenar avrebbe potuto raccontare le memorie di Plotina anziché quelle di Adriano? 

Yourcenar lo scrive in maniera credo definitiva, Plotina, per quanto personaggio affascinante e multiforme non avrebbe avuto, perché alle donne non era concesso, una visione dell’impero tale da consentirne la descrizione monodica. Adriano può parlare per trecento pagine senza interruzione perché ha viaggiato, comandato, visto ordinato su tutte le strade e lungo tutti i confini del mondo conosciuto. Plotina no, la sua visione profondissima è però, per forza, limitata. Le memorie di Plotina, di certo, avrebbero necessitato di un’altra struttura narrativa.

 Continuiamo a parlare di donne e di diritti. Lei ha studiato e insegnato matematica per anni, ha scritto tanti libri (uno di questi anche dedicato alla matematica), è responsabile per la narrativa italiana della casa editrice Marsilio, conduttrice per Rai Radio3 e non solo. La sua è indiscutibilmente una visione a 360 gradi del vasto universo delle lettere.  Esiste anche in questo ambito una questione di genere?  

Quando sono arrivata a Roma, undici anni fa, e dico Roma per significare il mio passaggio dalla matematica al mondo delle lettere, sottostimavo la questione del genere. Mi dicevo “Ma no, non c’è nessuna differenza”. E invece la differenza c’è. Le donne per essere trattate economicamente come gli uomini devono essere più brave, più ferme e più veloci. Inoltre – come dice spesso Michela Murgia – quando un uomo fallisce è colpa del sistema, quando una donna fallisce è colpa sua. A ogni modo io sono una persona fortunata, ho incontrato negli anni moltissime donne eccezionali che mi hanno sostenuto e anche qualche uomo eccezionale.

 Entrando nel merito della rassegna letteraria cui sarà presente domani, perché ha scelto “Memorie di Adriano” come classico da presentare nella Villa di Artimino?

Cercavo in fondo l’occasione per rileggerlo. E non c’è strada più veloce che creare l’occasione. Così quando Carla Lomi, la curatrice della rassegna, mi ha scritto abbiamo pensato a Memorie di Adriano e io ho fatto tra me e me un piccolo sorriso, sono stata felice come quando ho finito di leggerlo per la prima volta. Era il 1991. Memoria di Adriano è il romanzo di un uomo che ha cambiato l’idea di governo e di potere, legandolo, almeno nella versione di Yourcenar, all’idea di responsabilità. “Dio ha più responsabilità di un imperatore” dice Adriano attraverso la penna di Yourcenar, e io gli ho sempre creduto.

 C’è questa frase che lei ha detto (e scritto): “Un romanzo è almeno tre cose. Una storia, un’invenzione della lingua e un’invenzione del tempo”. Che tempo è quello attuale per le lettere e l’editoria?.

Il tempo per l’editoria è sempre felice, o così lo vedo. Un editore si occupa di un disegno culturale. Io faccio l’editor, sono cioè responsabile di un settore della casa editrice Marsilio, che è la narrativa italiana. L’editore ci mette l’amore diceva Valentino Bompiani e soprattutto, chiosava Cesare De Michelis, ci mette i soldi. Io ci metto gli occhi e le orecchie. E con questi due organi di senso vedo e sento un mondo pieno di storie, come sempre. È solo più difficile trascriverle perché per tradurre, per qualsiasi traduzione, ci vuole tempo e il tempo è la risorsa naturale che viene principalmente sottratta agli esseri umani.

 Lei come si pone verso i cambiamenti della lingua? Le evoluzioni che sta subendo la lingua italiana (alcune delle quali benedette anche dalla linguistica ufficiale) dovrebbero essere adottate anche dagli scrittori come una naturale evoluzione o ritiene che a scrittori/saggisti/filosofi sia richiesto il compito di preservare il “bello stile”?.

Non c’è una risposta univoca. Uno scrittore, se è tale, o quando lo è, o se gli capita di esserlo – esiste la scrittura, cioè una postura, un metodo un processo, non lo scrittore, che è uno stato – inventa la sua lingua e la prende come serve.

 Infine, c’è una storia che non ha ancora scritto e sogna di scrivere? 

Non credo. Ci devo pensare. Di solito quello che mi va di scrivere, lo scrivo.

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