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I social diventano i nostri abbracci ai tempi del Corona Virus

Tecnologia, social e persone, analizziamone il rapporto in questa situazione d’emergenza. Lo scatto dell’infermiera stremata diventa virale e ci insegna qualcosa

Infermiera stremata – Corona Virus - © Elena Pagliarini

Il progresso ha sempre suscitato reazioni diverse nell’uomo. Paura. Esaltazione. Timore. Speranza. C’è chi l’ha giudicato il male del mondo, sintetizzando che ‘si stava meglio quando si stava peggio’, c’è chi invece – sempre molto sommariamente – l’ha contraddistinto come la soluzione a tutti i mali. Anche sulla rivoluzione tecnologica e digitale si è molto dibattuto (e si dibatterà ancora a lungo), certo è che in questo momento privo di contatto fisico almeno la comunicazione social ci sta salvando da un isolamento forzato e diventa l’unico mezzo per stare vicino alle altre persone, agli affetti più cari che dobbiamo tenere necessariamente distanti per ‘proteggere’ noi stessi e gli altri.

I social diventano i nostri abbracci, ci consentono non di toccarci ma almeno di vederci, di mantenere stabile una relazione visiva, di provare emozioni anche a distanza. Un sorriso di una persona cara, un messaggio di speranza postato su instagram, una foto di un’infermiera stremata dopo ore di lavoro accasciata su una scrivania: la tecnologia oggi ci consente di parlarci, vederci, raccontarci ma anche di sentirci meno soli.

Paradossalmente quella che fino a ieri veniva considerata motivo di abbandono delle relazioni tradizionali, quella che veniva addidata come causa di distanza fisica in questi giorni diventa invece la primaria fonte di contatto tra le persone.

Vedete come le cose si capovolgono in fretta? Come il punto di vista si modifica, muta, rispetto a come viviamo gli avvenimenti?

Quella tecnologia considerata a volte ‘danno’ senza considerarne tutti gli aspetti, ci consente invece in un momento di grave emergenza, di sopperire all’isolamento, di condividere la paura, di combattere insieme – seppur a distanza – questo male silenzioso.

Nel momento in tutto si annulla rimangono vive le cose importanti. Il resto diventa inutile orpello, il superfluo evapora. Sarà così anche nelle conversazioni in rete che ci hanno visto fino a ieri scarsi ‘opinionisti’ da bar e che magari oggi potrebbero riscoprirci persone nuove? Non lo sappiamo ancora ma l’occasione da cogliere c’è tutta. Perchè quando tutto intorno pare vacillare ecco che l’intelletto, il cuore e la sensibilità diventano le migliori armi con le quali combattere questo ‘mostro’ che attacca tutti noi, senza distinzione alcuna. E allora proviamo – almeno qua- a scrivere pagine nuove. A contagiarci con parole che abbiamo un senso, che siano di conforto a chi vive giorni di solitudine, a chi a casa si ritrova solo, a chi può scoprire una diversa visione di sé in giorni nei quali riflettere è d’obbligo.

C’è poi chi – invece – a casa non può rimanere. Sono gli operatori sanitari, i medici, gli infermieri, i lavoratori dei supermercati o delle botteghe alimentari o ancora quelli che devono garantire i servizi pubblici essenziali. Stanno lavorando per noi. E allora in quel caso la tecnologia conta poco. Contano gli uomini, le donne, il genere umano. La tecnologia è un mezzo che oggi serve sì per parlarci ma anche per la cura dei cittadini. Un campo – quello della salute – investito dalla rivoluzione tecnologica. Migliorato. Progredito. Quella stessa rivoluzione tecnologica e digitale – che oggi ci consente di parlare e di stringerci in un abbraccio virtuale – salva anche ogni giorno le nostre vite. Non è il progresso il bene o il male del mondo, ad orchestrare ogni cosa ci sono sempre e comunque le persone, dipende tutto da noi. Anche in questa epoca bizzarra nella quale galleggiamo e navighiamo a vista le persone contano. Eccome se contano. L’emergenza straordinaria di oggi ce lo insegna e ce lo ricorda. Facciamone tesoro. 

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