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Intervista a Coco Sean Channel Ryder: l’arte come trasformazione

La giovane artista ha scelto Firenze come fulcro delle sue sperimentazioni artistiche

Coco Sean Channel Ryder

Scultrice, disegnatrice, performer, modella, musa, ballerina, Coco Sean Channel Ryder è molte cose. La giovane artista è nata a Manchester, poi si è trasferita a Palma di Maiorca, in una famiglia fuori dal comune. Suo nonno è Donovan Leitch uno dei simboli della musica degli anni ’60, suo padre Shaun Ryder ha fondato negli anni ’90 la band degli Happy Mondays. Una bambina nata in una famiglia che contiene così tanto talento non poteva non essere qualcosa di incredibile. Coco ha scelto la tranquilla Firenze, la culla del Rinascimento come luogo d’elezione per studiare l’arte all’Accademia d’Arte AD’A. Senza nessun senso di inferiorità nei confronti di parenti di tale levatura Coco affronta la vita con un’energia spregiudicata e prorompente, pronta a espandersi in tutto il mondo.

Vorrei cominciare a raccontare la tua storia dall’inizio, com’è stato nascere e crescere in una famiglia di artisti?
Quando cresci in questo tipo di famiglia, soprattutto la mia in cui c’è più di un artista, puoi vedere il mondo che c’è dietro la musica, dietro l’arte. Spesso le persone che creano questi lavori incredibili passano attraverso tanto dolore, esperienze molto intense e tante trasformazioni durante la loro vita. Quando cresci in questo mondo, le vedi dall’interno, è una cosa molto potente e molto stimolante che ti fa crescere più velocemente.

Quando hai realizzato che saresti diventata anche tu un’artista?
La mia famiglia mi ha sempre detto che sarei diventata un’artista perché fin da piccola disegnavo. Ma io non ci ho mai creduto, non perché non credessi in me stessa, ma solo perché non pensavo che sarei diventata un’artista. Avevo davanti a me tante possibilità, potevo diventare una cantante o un’attrice. In realtà durante la mia adolescenza volevo studiare psicologia, ma devo ammettere che passavo tantissimo tempo a disegnare e scrivere. Mio nonno mi disse che dovevo studiare arte, ma io non volevo, era solo un’espressione naturale di me stessa, non volevo essere ‘messa in una scatola’. Ma per rispondere alla tua domanda in realtà non ho davvero mai realizzato di essere un artista. Alla fine ho capito che non mi sento artista per quello che creo, ma per come mi sento dentro. È un modo di vivere, di vedere la vita, prima ancora di creare.

In che modo un’artista vede la vita?
Penso sia differente per ogni artista, ma ogni artista ha bisogno di creare, non può vivere senza, deve farlo.

Non hai mai pensato di diventare musicista?
Quando avevo 15 anni ho comprato una chitarra, aveva una desivo di Hello Kitty sopra, pensavo fosse figo, ma non ho la coordinazione. C’è troppa musica nella mia famiglia.

Come mai hai deciso di trasferirti a Firenze e non per esempio New York, Barcellona o Berlino?
Avevo paura di lasciare la mia isola, perché Palma di Maiorca è un luogo bellissimo, è piccola e si conoscono tutti. Volevo studiare psicologia e mi sono guardata intorno, ho pensato a dove potessi andare, volevo andare in un’università che assomigliasse a Hogwarts. Alla fine mio nonno mi ha raccontato di aver trascorso tre settimane a Firenze presso la ‘SACI – Studio Arts College International’ una scuola americana. Lui era l’unico ‘anziano’ del gruppo e si è divertito moltissimo, è stato di grande ispirazione per lui quel periodo. Mi ha raccontato quanto era bella Firenze e mi ha detto ‘prova ad andare per qualche settimana’. Così sono venuta qua per tre settimane in estate e ho scoperto questa città così piccola, come un villaggio, mi ha ricordato casa mia, ho pensato che avrei potuto vivere qua e essere felice. Ho pensato che dovevo prendere questa opportunità al volo e tre anni dopo sono ancora qua!

Per molti artisti stranieri visitare la ‘culla del Rinascimento’, trovarsi davanti alle opere di Botticelli, Leonardo, Michelangelo e Donatello è un’esperienza castrante, tu come hai vissuto l’impatto con l’arte fiorentina?
La prima volta mi sono sentita come se fossi entrata in un mondo surreale, indietro nel tempo, mi ha emozionata moltissimo. Mi guardavo intorno e provavo ad immaginare come fosse qui durante il Rinascimento, mi immaginavo la gente per le strade con i cavalli e le carrozze, il vecchio mercato, qui tutto è magico per me.

Disegno, scultura, performance, tu ami sperimentare. Qual è la forma artistica che preferisci?
All’inizio credevo che l’unico modo per essere un’artista fosse dipingere, avevo una conoscenza molto limitata. Poi ho scoperto la scultura, e ho realizzato che c’era molto altro da fare. Poi ho fatto la mia prima performance e mi sono resa conto che avevo bisogno di qualcosa di più fisico, con movimento. La scultura per me è come una perfomance, ha bisogno di spazio. Credo che per me scultura e performance siano in realtà un’unica cosa e anche la più importante.

Sei molto giovane, puoi ‘annusare’ lo spirito del tempo, della contemporaneità, quali sono per te le ricerche più interessanti in questo momento?
Non so se posso rispondere a questa domanda perché non ho passato tanto tempo a studiare arte. Sono stata assorbita da me stessa e credo che questo sia un problema che hanno molti giovani artisti e musicisti. Si dimenticano di studiare la storia e restano bloccati in un loop. Ho capito che bisogno di studiare ancora il passato prima di arrivare al presente ed è quello su cui sono concentrata in questo momento.

Spero non sia una domanda troppo stupida, ma cos’è l’arte per te?
Sembra una domanda facile, ma non lo è. È un modo di trasformare tutto quello che accade dentro di me in qualcos’altro. Ti faccio un esempio filosofico. In Alchimia puoi trasformare dei banali metalli in oro, questo è esattamente quello che è l’arte per me. Prendi tutte le piccole cose della vita, esperienze, emozioni, pensieri e le trasformi in qualcosa che è eterno e bellissimo.

Recentemente a Roma nella galleria Contemporary Cluster hai dato vita a una performance insieme alla fotografa tedesca Katastroffe e anche a tuo nonno, Donovan. Che rapporto hai con lui?
Mio nonno mi ha sempre incoraggiata a seguire l’arte, ha visto qualcosa in me fin da quando ero piccola. Io spesso andavo nel suo ufficio e nella sua biblioteca e leggevo i suoi libri, ascoltavo i suoi dischi. Non abbiamo mai lavorato insieme dal punto di vista artistico, ma sicuramente ci siamo influenzati molto l’uno con l’altro, emotivamente e psicologicamente. Mio nonno mi ha sempre aiutata a cercare la mia via, le mie ali e mi ha dato gli strumenti necessari per trovarla da sola.

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Progetti per il futuro?
Dopo la performance a Roma sto pensando di realizzarne altre sei. La mia prima performance era sul tema della vulnerabilità, esporre se stessi, senza filtri, emotivamente nudi di fronte al pubblico. Nelle prossime vorrei esporre diverse parti di me stessa, diversi sentimenti. I temi saranno: sessualità, trauma, tristezza, rabbia, malattia mentale e spiritualità. L’ultimo sarà sulla spiritualità proprio perché dopo aver provato tutte queste esperienze siamo ponti per una trasformazione. Si terranno in diversi luoghi in Europa.

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