Cultura/ ARTICOLO

Voci possenti e corsare: la Livorno undergroud dagli anni ’80 ad oggi

Intervista a Luca Falorni autore del libro che ripercorre la storia della città labronica dal punto di vista dei centri sociali

/ Costanza Baldini
Sab 23 Giugno, 2018

Luca Falorni è nato e cresciuto a Livorno, attualmente è docente di Lettere nelle scuole superiori milanesi. È anche videomaker e ha fondato nel 1990 la crew video Anthony Perkins Production. ‘Voci possenti e corsare’ è il libro, pubblicato dalla casa editrice AgenziaX, che ha scritto per raccontare una Livorno diversa. Una città giovane, strettamente legata al suo porto, nata come melting pot di culture e religioni diverse e per questo rimasta sempre sovversiva, fuori da ogni possibile incasellamento. Una città mai banale, dove è stato fondato il partito comunista italiano e dove sono nate e cresciute varie mitologie ribelli nella musica, nell’arte, nella politica e nello sport. Da questo calderone di energie diverse che si intersecano è nato un potente movimento giovanile, legato ai centri sociali che si sono via via avvicendati nel coso di quasi trent’anni. Tutto questo mondo fino ad oggi sconosciuto ai più è stato raccontato per la prima volta da Luca Falorni nel suo libro. Un viaggio sentimentale dell’autore nel suo rapporto con la livornesità, con tantissime interviste raccolte personalmente. Ecco la nostra intervista

Ciao Luca, nel tuo libro 'Voci possenti e corsare' ripercorri la storia della Livorno dagli anni '80 ad oggi, il movimento studentesco, i centri sociali. Se ti riesce vorrei che tu mi riassumessi le fasi salienti: Villa Sansoni, poi Godzilla e poi?

Mi stai chiedendo di riassumere praticamente tutto il libro! Scherzi a parte c'è nel libro un testo di Franco Marino preso da Senza Soste che fa egregiamente una sintesi dei fatti tra inizio anni zero e inizio anni 10 del 2000, dopo la mia premessa e l'altra introduzione di Silvano Cacciari. Per dirlo in due parole dopo la fine della I fase del Godzilla ci fu una rinascita dello stesso tra il 93 e il 97 (con all'inizio l'occupazione del Teatrino, promossa dal collettivo del Godzilla). Dopo un periodo di crisi, nel 2001, dopo Genova, lo spazio in Via dei Mulini fu rioccupato da un'area più vasta di movimento e di studenti, che si incontrò anche con settori della curva. Negli anni il Godzilla in vari modi “generò” altri spazi che compresero tutta la palazzina di Via dei Mulini (ora chiusa dopo l'inondazione). Ha a che fare con quel nucleo anche la nascita del Refugio, mentre è il collettivo dell'ultimo Godzilla a occupare la Caserma di Via Adriana.

Nel tuo libro si parla del problema dell'eroina, dei suicidi, e di come la tossicodipendenza sia stata strettamente legata alla realtà dei centri sociali e come, forse, sia stata una delle cause anche della fine di queste esperienze. E' stato così? Come si è usciti dal quella problematica? Come mai oggi non c'è più l'eroina?

L'eroina non è legata univocamente ai CSA, ha devastato il mondo della cultura, della politica, di tutta la società giovanile dalla fine dei settanta ai primi novanta. In luoghi accoglienti (pure troppo) come i centri era ovvio che facesse dei danni se non tenuta a bada. In realtà le esperienze non direi che si siano chiuse, si sono trasformate per necessità. Come si dice spesso nel libro, le generazioni successive non sono state così “ingenue” con le persone tossicodipendenti come lo siamo stati noi, questo è stato il modo di uscirne. L'eroina c'è ancora, anzi sta tornando in forme preoccupanti. A Milano ce ne siamo già accorti da tempo,ma purtroppo sta tornando anche da voi. In questi anni è cambiato completamente il mercato, molte modalità di consumo e di spaccio, ma non il mostruoso profitto che le narcomafie fanno su questo business, reso possibile in forme così lucrose dall'insistenza cieca sulle fallimentari politiche proibizioniste. Sarei curioso, per esempio, di sapere come mai l'informazione italiana non parla mai di politiche intelligenti e vincenti di riduzione del danno come quella del Portogallo.

Sei uno dei fondatori dell'Anthony Perkins Productions, raccontaci la storia di questa realtà

La APP è stata la crew video- informatica del Godzilla, poi dal '94 al 2000 è stata un'associazione culturale con sede al CECUPO in Via degli Asili, che ha prodotto talmente tante cose da non poterle dire tutte: rassegne di film, produzione di video, incontri con autori, corsi di educazione all'immagine, performance e istallazioni, consulenze per mostre.... Dal 2003, sparsi i soci per il mondo è diventata, come dico sempre, “uno stato della mente”. Appare quando è necessaria, questo libro sicuramente è una produzione APP (anche se non c'è scritto)!

Livorno è sempre stata una città particolare, un'anomalia, tu dici che negli anni '80 era una piccola 'Seattle', con tanta musica punk, wave labronica e sperimentazioni creative. Com'è cambiata adesso, dov'è finita tutta quella energia?

È cambiata sicuramente, lo raccontano alcuni dei suoi protagonisti anche di adesso nel libro, forse non sta tanto a me a dirlo, visto che vivo altrove da molti anni, ma a me sembra che suoni sempre una marea di gente, con moltissime più possibilità di prima. Chi li aveva mai visti sei o sette locali dove suonare negli anni ottanta, delle etichette indipendenti discografiche? Forse l'unica cosa che manca è una radio, oltre al concetto di “scena” vera e proprio, difficilissimo però in una città di provincia, senza un grande polo culturale attrattivo di un altro da sé, come può essere L'Università a Pisa.

Nel libro scagli un duro attacco a 'Ovosodo' di Virzì, un film che a tuo parere non racconta la realtà livornese, ma le sostituisce qualcosa di falso, è così?

Si è così, quando ho visto quel film sono stato malissimo, ma proprio emotivamente prima di ogni altra cosa. Il protagonista potrei essere io, vengo da una famiglia di portuali, ho fatto il Classico come il protagonista (e anche il regista): nel film non c'è nulla di vero, come ora si sa per testimonianze dirette, sono storie legate a un suo ambito familiare non della città vera come hanno creduto molti livornesi. Si parla di una Livorno abitata da delle maschere grottesche, da personaggi compiaciuti della propria ignoranza, di una città popolata di comparse bisognose di una guida (il Partito, mai nominato, presente solo per ellissi, il che fa già ridere) severa per necessità, un luogo dove si accetta a capo chino la propria sfiga, ci si adatta quasi beati a lavorare in fabbriche così umane da permetterti di raccontarti Dickens mentre lavori, no c'è mai nessuna rabbia, solo il famoso “Ovosodo” in gola.  Il top è quel ragazzetto della Guglia amico del protagonista che si fa la prima canna a Roma: negli anni ottanta/novanta dalla Guglia passavano fiumi di roba, altro che scherzi. Sull'ignoranza compiaciuta potrei parlare per ore, dirò solo che la mia generazione di figli di lavoratori (che è anche quella del regista) si è fatta in genere un mazzo tanto per studiare e aprirsi al mondo, lo ha fatto perché chi è venuto prima ce ne ha dato gli strumenti e le possibilità, chi dice il contrario o è in malafede o non conosce la storia della città

A un certo punto nel 2001 hai sentito la necessità di allontanarti dalla tua città, volevo chiederti il perché di questa decisione

La decisione la presi per ragioni personali, ma soprattutto per l'impossibilità di fare qualcosa di risolutivo per la mia vita nella mia città, oltre che per fuggire dalla sensazione del “topino nella gabbietta” che Livorno allora mi dava e mi dà ancora quando ci torno, di cui parlo diffusamente nella premessa al libro stesso. Amo la mia città, ci vengo spesso, ma la gioia di vagare e farmi gli affari miei in una grande città come Milano, senza che nessuno ci metta il becco, è per me ancora impagabile dopo 16 anni di vita quaggiù.

Il tuo libro si conclude con un'ampia parte dedicata alle interviste ai protagonisti della storia culturale e politica della città, c'è anche il pugile Lenny Bottai. Mi chiedevo tutte queste persone che hanno vissuto insieme queste esperienze dove e come si aggrega adesso? Si sono persi del tutto i contatti o resiste ancora qualcosa di quelle esperienze di vita e amicizie?

La risposta alla prima domanda la dà in parte l'ultimo capitolo del libro “Il posto più difficile” che parla proprio della situazione attuale. Non è un quadro esaustivo come non è esaustivo il libro per quanto riguarda il passato, così accade per i lavori di narrazione orale come questo, dove le storie sono raccontate attraverso il vissuto di chi le racconta, la mia storia insieme a quella degli altri. Certo che non si sono persi i contatti, anzi si sono allargati, altrimenti non sarebbero nati né il documentario né il libro, né altre cose di cui nel libro si parla.

Per comprare il libro visita:
http://www.agenziax.it/voci-possenti-e-corsare/