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Storie /Franchi ieri, oggi e domani

Artemio Franchi, 100 anni dopo: “Quanto ci manchi”. Un amore diviso tra calcio e Palio

Più di una volta ha preferito il Palio alle partite della nazionale, ma per tutti Artemio Franchi è il dirigente “migliore di tutti i tempi”. A 100 anni dalla nascita ecco i ricordi dei figli e dei vertici del calcio italiano e internazionale

Dall’amore per il Palio alla vittoria dei mondiali. Da Siena al mondo e viceversa, in numerosi viaggi di andata e ritorno. Protagonista, stavolta, è Artemio Franchi. Ciò che Firenze, la Lega Pro e tutto il calcio italiano e internazionale hanno fatto – e stanno facendo – in memoria del “più grande dirigente del calcio italiano” è qualcosa che va al di là delle semplici celebrazioni. Non è solo un omaggio e neppure una condivisioni di piacevoli ricordi. Pensando a lui, a cento anni dalla sua nascita, tutti hanno condiviso pensieri, aneddoti, visioni. E con tutti non intendiamo non solo i familiari e quelli che gli erano vicini per varie ragioni, ma anche i vertici della Fifa, le società sportive, gli studenti (tantissimi) e i campione dello sport di ieri e di oggi. I tre giorni di eventi dedicati a Franchi sono andati in scena a Palazzo Vecchio, il più nobile dei luoghi fiorentini. Del resto non poteva essere diversamente.

“Franchi ha illuminato la storia del calcio italiano”

Artemio il “profeta”

“Parleremo di un uomo che ha illuminato la storia del calcio italiano. Di un nonno che ha amato tanto per questo sport che voi state cominciando ad amare” ha detto il giornalista Marino Bartoletti rivolgendosi ai giovani. “Franchi? La sua attualità è quasi profetica. Ricordarlo in questi giorni non proprio felici è ancor più importante. Sarebbe bello se trasformassimo queste celebrazioni nel giorno di Natale del calcio italiano. Nel nome di Artemio, ovviamente”. Considerando come poi sono andate le cose, la verità non è poi così distante dal desiderio espresso da Bartoletti, che di questo mondo è stato – ed è – uno straordinario e appassionato narratore.

Ma chi era Artemio Franchi? Anzi, chi è? Perché qua pare siano tutti spinti dal bisogno di parlare di lui al presente. Come se questo lo facesse sentire ancora vivo, ancora vicino, ancora testimone di un’epoca che non è più la sua ma che, forse proprio per questo, avrebbe ancor più bisogno di poter trovare soluzioni nelle sua visione del mondo e delle cose. Insomma, Franchi era soprattutto un toscano. Oggi lo stadio di Firenze porta il suo nome, ma non solo perché della viola è stato dirigente. Artemio Franchi era fiorentino, sì, ma legato a Siena, città d’origine dei suoi genitori, e al Palio. Secondo il racconto di chi lo conosceva, tra il Palio e il calcio avrebbe scelto il Palio. E così fece anche in più di un’occasione.

“Nel Mondiale 1978 tornò in volo dall’Argentina per assistere all’assegnazione dei cavalli per il Palio”

Il Palio sopra ogni cosa

“Durante il Mondiale del 1978 mio padre tornò in volo dall’Argentina per raggiungere Siena e assistere all’assegnazione dei cavalli per il Palio del due luglio” racconta il figlio Francesco. Ma non fu questa l’unica sua fuga di Franchi, che per dodici anni è stato anche capitano della contrada della Torre. “Il 29 giugno del 1982, mentre l’Italia di Bearzot affrontava l’Argentina, Artemio non c’era” racconta Antonio La Marca, priore della contrada. “Franchi quel giorno non era a Barcellona, ma a Siena. Perché si teneva la tratta, ovvero l’assegnazione dei cavalli. Forse non tutti sanno che i suoi impegni spesso erano tarati e programmati per consentigli di svolgere il ruolo di capitano”.


A Franchi fu addirittura assegnato il “Mangia d’oro”, massima onorificenza senese, nell’ormai lontano 1972. Un segno evidente di quanto la città fosse grata a quest’uomo che fu tante cose. Arbitro, dirigente della Fiorentina, presidente della Figc e della Uefa, vicepresidente della Fifa e molto altro ancora. È merito suo se nel 1959 è nata la lega di calcio di serie C. “Mio padre amava Siena perché, com’era solito dire, gli consentiva di tenere i piedi ben saldi a terra” ricorda Francesco Franchi. “Lui era figlio di un cuoco e di una domestica, non hai mai dimenticato le sue origini. Ci ha lasciato infiniti insegnamenti. Quali? La diplomazia, il sarcasmo, la determinazione. Una sera tornò a casa con un braccio fasciato perché durante l’assemblea di lega dei dilettanti aveva dato un pugno sul tavolo talmente forte che si fratturò la falange”.

Sempre presente (ovunque)

“È presente anche dopo la sua scomparsa. Anche qui, anche oggi”

“Non è facile fare i conti con le emozioni” racconta con evidente partecipazione e riconoscenza la figlia Giovanna. “Non era quasi mai in casa, ma nonostante questo era sempre presente con il rigore, la sobrietà e il sorriso affettuoso e complice. È presente anche dopo la sua scomparsa. Anche qui, anche oggi. È un’emozione incredibile”. E così ai ricordi familiari e personali si sommano quelli istituzionali, anch’essi emotivamente coinvolgenti e diretti. Quelli del sindaco di Firenze Dario Nardella (“Franchi ricordava che sì, il talento serve, ma nella vita per vincere sono importanti soprattutto sacrificio e dedizione”), del presidente della Regione Toscana Eugenio Giani (“Una figura straordinaria per tutti noi, senza la sua prematura scomparsa sarebbe arrivato ai vertici del calcio mondiale”), del presidente della Figc Gabriele Gravina (“Artemio Franchi ha avuto il merito di restituire una dimensione globale al calcio italiano”), del sottosegretario allo sport Valentina Vezzali (“Franchi ha lasciaro un segno indelebile”) e di molti altri. A cominciare da Giancarlo Abete, Antonio Matarrese, Carlo Tavecchio, Franco Carraro, Roberto Mancini, Milena Bertolini e da Giancarlo Antognoni, ex capitano viola e campione del mondo nell’82.

“Il calcio italiano ha bisogno di una riforma”

Com’era quasi logico attendersi, nelle pieghe dei ricordi è emerso con forza il confronto tra passato e presente. Cioè tra una storia che è cresciuta fino a trasformarsi in modello e un’attualità che, al netto della vittoria della nazionale italiana all’Europeo, fa trasparire la malinconica rassegnazione di fronte alla seconda esclusione consecutiva da un mondiale. “Il calcio italiano ha bisogno di una riforma. Nel giro di poche settimane occorre costruire un progetto sui giovani”. È questa la proposta del presidente della Lega Pro, Francesco Ghirelli. Ma come? “Lavorando sulle infrastrutture materiali e immateriali, dai centri sportivi alle la scuole. Migliorerà così anche il fattore tecnico”. Perché quello che manca, tra le altre cose, secondo il presidente della Fondazione del Museo del Calcio Matteo Marani è “la pratica, l’esercizio e lo sviluppo della spontaneità” che quotidianamente avveniva nelle piazze e nei cortili degli oratori.

Da Artemio Franchi a Paolo Rossi

Chissà se questo è davvero il Natale del calcio, come spera e crede Bartoletti. Quel che è certo è che il presidente della Fifa Gianni Infantino, intervenendo a Firenze per “Franchi ieri, oggi e domani” dopo un viaggio in Qatar, ha parlato di Artemio come di un dirigente “capace e disciplinato”. Anzi, lo ha definito “il più grande dirigente del calcio italiano”. Come a sottolineare il fatto che sì, pare ci manchi proprio tanto. Infine Infantino ha chiuso con una proposta che ha a che fare con un altro indimenticato (e indimenticabile) campione di Toscana che ha reso grande l’Italia nel mondo. “Cosa aspettiamo a dare il nome di Paolo Rossi allo Stadio Olimpico? Credo lo meriti”.

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