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Cinque curiosità sugli affreschi della Cappella Brancacci

Nella chiesa di Santa Maria del Carmine di Firenze, il ciclo degli affreschi di San Pietro, realizzato da Masaccio e Masolino, è in corso di restauro e per l’occasione è stato allestito uno speciale ponteggio. Noi siamo andati a vederlo con una guida d’eccezione e vi proponiamo cinque curiosità che forse non conoscete

Autoritratto Masaccio Cappella Brancacci

Se ne stanno lì, accanto l’uno all’altro: Masaccio, Masolino, Leon Battista Alberti e Filippo Brunelleschi. Quattro uomini che hanno dato fondamentali contributi alla storia dell’arte e all’architettura. L’unico che guarda l’osservatore è Masaccio, è lui infatti l’autore di questa scena, una delle più significative ed enigmatiche tra quelle rappresentate nel ciclo delle storie di San Pietro, commissionato dal mercante Felice Brancacci a Masolino e Masaccio negli anni Venti del Quattrocento, ed ammirabile all’interno della Cappella Brancacci nella chiesa di San Maria del Carmine a Firenze .

Da gennaio di quest’anno, dando seguito ad un’indagine avviata nel 2020, la cappella Brancacci è un laboratorio di restauro a cielo aperto . Grazie ad una speciale impalcatura infatti i visitatori possono vedere da vicino l’arte che essa racchiude. L’arte della prospettiva di cui Masaccio fu precursore e che avvolge lo spettatore facendolo sentire all’interno della scena. Siamo stati all’interno della cappella, per vedere da vicino quest’opera con una guida d’eccezione.

Ecco cinque curiosità che forse non conoscete di questo straordinario ciclo di affreschi:

1.Chi ha dipinto cosa?

Da questo angolo di Firenze sono passati i nomi più illustri di tutti i tempi, da Michelangelo a Raffaello, per imparare da lui, da Masaccio, per carpire la tecnica, per lasciarsi influenzare dai suoi tratti. Al ciclo di affreschi però Masaccio non ci lavorò da solo, con lui il socio, assai più anziano, Masolino.

Tutt’oggi storici e accademici non concordano su tutte le attribuzioni: “Questo volto l’ha dipinto sicuramente Masaccio”, “Ma no, è il tipico stile gotico di Masolino”.

Come spiegano gli esperti, i tratti dei due artisti sono molto differenti tuttavia i due lavoravano insieme da molto e per il lavoro alla Cappella adottarono entrambi la stessa, straordinaria, unitarietà prospettica . Ed è per questo che due scene che si trovano una su una parete e una su un’altra combaciano perfettamente, combaciano i punti di fuga, combaciano le linee prospettiche. Pare che i due pittori ricercarono questa perfezione utilizzando anche un unico ponteggio, sul quale lavoravano contemporaneamente, alternandosi le pareti.

A complicare il tutto il subentro di Filippino Lippi nel 1485. Masaccio infatti non riuscì mai a finire la Cappella, morì a soli 27 anni e Filippino Lippi (figlio di quel Filippo Lippi, che di Masaccio era stato allievo) ricevette l’incarico di completare l’opera incompiuta. Filippino Lippi aveva uno stile assai diverso ma si sforzò di rispettare il lavoro dei suoi precursori adattando i suoi interventi a quelli già realizzati.  Un atteggiamento che non era affatto scontato, segno di grande rispetto, e che ha contribuito ad incrementare il fascino intramontabile della Cappella. E proposito di autoritratti: anche il Lippi ha nascosto il proprio autoritratto all’interno dell’opera (in foto). Lo si trova nella parete destra, sul lato opposto a quello di Masaccio  e Masolino e poco distante dal ritratto di Botticelli che del Lippi era Maestro. Tra i due, tra l’altro, colpisce anche la straordinaria somiglianza.

2.Due visioni diverse di Adamo ed Eva

Due scene diverse, gli stessi protagonisti, due stili specifici. Le due scene speculari della Genesi che troviamo sulle due colonne all’ingresso della cappella, sono due veri capolavori della storia dell’arte. Una di Masaccio, l’altra di Masolino. Quest’ultimo ha raffigurato il Peccato Originale, con Adamo ed Eva in piedi, nudi pronti a mangiare il frutto proibito. Dietro di loro incombe il serpente. Masaccio porta avanti la narrazione dipingendo la Cacciata dal Paradiso, dalla parte opposta della parete. Queste due rappresentazioni sono per gli storici di grande importanza, vengono spesso paragonate e prese ad esempio anche per assegnare le varie attribuzioni delle scene.

3.Un problema di foglie e nudità

Durante un restauro è emerso che intorno alla metà del 1600, quindi ben 200 anni dopo dal lavoro di Masaccio,  furono coperte con delle foglie le nudità di Adamo ed Eva nella scena della Cacciata . Di quelle foglie oggi non c’è più traccia. A toglierle i restauratori negli anni 80 perché “falsificavano” l’iconografia originaria. E questo non deve sorprendere: “L’opera D’arte è sempre più considerata un documento”, ci spiega Irene Biadaioli, funzionario restauratore della Soprintendenza di Firenze, Pistoia e Prato cui è affidato questo restauro cui partecipano anche il Comune di Firenze, in qualità di padrone di casa, e l’Opificio delle pietre dure per la parte operativa. “Negli anni sono cambiate le strumentazioni ma soprattutto gli stili e i gusti – prosegue Irene – Ciascun intervento, ogni successiva scelta stilistica apportata all’opera è anch’essa una testimonianza di un particolare momento storico, di una particolare condizione religiosa o economica. Di qui il dubbio lecito per ogni restauratore se conservare o meno gli interventi successivi, intervenendo di fatto, sul valore documentale dell’opera stessa”.

4.I volti deturpati e i piedi mancanti

Osservando da vicino le opere d’arte è possibile individuare alcuni personaggi con i volti sfigurati . Si tratta, sicuramente, dei volti di membri della famiglia Brancacci. Era stato infatti Felice Brancacci, ricco mercante fiorentino a commissionare l’affresco a Masaccio (di qui la grande attenzione nei dipinti data alle stoffe e alle vesti, omaggio dell’artista al suo committente). Poco dopo la morte dell’artista, tuttavia, Brancacci fu dichiarato nemico della Repubblica ed esiliato da Firenze da Cosimo De’Medici. Questo avvenimento ebbe un impatto enorme anche sull’opera. Per il principio della “damnatio memoriae”, furono cancellati tutti i segni della casata dei Brancacci dagli affreschi mentre la cappella fu intitolata alla Madonna del Popolo (non più a San Pietro, protettore dei Brancacci). Quando Filippino Lippi ricevette l’incarico di ultimare l’opera di Masaccio ebbe anche il compito di recuperare i volti deturpati e ne aggiunse altri. Furono però i restauratori intervenuti nel corso degli anni a riportarli alla luce (facendo una scelta diametralmente opposta a quella fatta con le foglie che coprivano Adamo ed Eva).

Altra interessante scoperta fatta dai restauratori sempre su questa scena riguarda la discordanza tra le teste e il numero dei piedi del gruppetto di persone raffigurate all’estrema sinistra del dipinto : ci sono infatti cinque teste ma solo quattro paia di piedi. Il pittore (presumibilmente il Lippi) si perse dei piedi per strada.

5.La reputazione di Masaccio, solo una questione di calore

Nel gennaio del 1771 le fiamme avvolsero la Chiesa del Carmine ma miracolosamente riuscirono a bloccare l’incendio prima che avviluppasse la cappella . Ciò però non impedì al calore di alterare i colori originali dell’opera muraria che dopo l’incendio apparivano cupi, ombrosi. E ciò influenzò per lungo tempo anche la reputazione di Masaccio: si è creduto infatti che quei toni cupi fossero originali dell’artista, attribuendoli alla sua cifra pittorica. Solo un successivo restauro ha permesso di risalire alla causa e di riportare in superfice i toni molto più brillanti e vivi che Masaccio aveva scelto per la sua ultima testimonianza. Il calore infatti può influenzare enormemente la presa di un colore sul muro. Non solo in caso di incendio. Ad un occhio attento, guardando da vicino tutte le componenti del ciclo di San Pietro, per esempio, non sfuggirà che il colore non sempre è uniforme all’interno di una stessa scena : “Si chiamano giornate, sono le giornate lavorative degli artisti che di solito lavoravano 5 o 6 ore al giorno, e riuscivano a fare una testa, al massimo un corpo in una giornata”, precisa Irene. Riprendevano il giorno dopo da dove avevano lasciato ma nessun giorno è uguale al precedente, il microclima può essere diverso, può cambiare l’umidità. E ciò condizionava la resa del colore su muro. Per questo anche due personaggi parte della stessa scena del ciclo possono avere cieli di sfumature diverse alle loro spalle. Tanto più che per comporre il ciclo di San Pietro, senza neppure ultimarlo, Masaccio e Masolino ci impiegarono anni: seppure non ci siano documentazioni scritte che datano esattamente l’avvio degli affreschi della cappella, si ipotizza che iniziarono a lavorarci nel 1423 per poi interrompere nel 1427 (Masolino nel 1425). Roma non è stata fatta in un giorno e neppure la Cappella Brancacci.

Un cantiere a cielo aperto

Come accennato, nel novembre 2020 la Cappella Brancacci fu sottoposta a un primo monitoraggio per valutare il suo stato di salute. Emersero alcuni fenomeni di deterioramento del ciclo pittorico e vari distaccamenti dalla parete. “Dopo la scoperta del distacco della pellicola pittorica nel 2020, fu deciso di procedere con una ricognizione totale della superficie tramite la tecnica della noccatura (indagine non invasiva che permette di valutare eventuali vuoti, ovvero distaccamenti, tra i vari strati dell’opera muraria e tra questi e la muratura, ndr)– spiega Irene – Poiché emersero anche alcune criticità fu deciso di fare una revisione generale di tutta l’opera e farne un’occasione di studio per confrontare, con le strumentazioni odierne, il restauro fatto negli anni Ottanta del Novecento”. Il ponteggio installato nel febbraio di quest’anno, voluto dal Comune di Firenze, concede ai visitatori una visuale privilegiata e ravvicinata degli affreschi .  Un modello di visita a cantiere aperto che il Comune aveva già sperimentato per la fontana del Biancone in piazza della Signoria e per la Sala degli Elementi a Palazzo Vecchio. Stando al cronoprogramma, il ponteggio dovrebbe essere smantellato entro la fine dell’anno.

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