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Diabete di Tipo 2: da Pisa uno studio che cambierà le linee guida

Uscito sulla rivista The Lancet, il professor Stefano Del Prato dell’ateneo pisano fra i coordinatori

Diabete

Si chiama VERIFY (Vildagliptin Efficacy in combination with metfoRmIn For earlY treatment of type 2 diabetes) e potrebbe portare, nel 2020, a una revisione delle linee guida di trattamento del diabete di tipo 2. È il nome dello studio presentato a Barcellona – in occasione del congresso annuale della EASD-European association for the study of diabetes e pubblicato in simultanea su The Lancet – e che vede, fra i coordinatori e autori, il professor Stefano Del Prato, direttore dell’Unità operativa di Malattie del metabolismo e Diabetologia dell’Aoup.

Lo studio clinico multicentrico, di fase IV, propone un trattamento innovativo rispetto alle attuali linee stilate dalle società scientifiche di tutto il mondo, che raccomandano di adottare una terapia ‘a gradini’ che inizi con la metformina, per poi aggiungere in sequenza altre molecole, una volta assodato il fallimento terapeutico.

La ricerca propone invece di iniziare da subito (a meno di intolleranze o controindicazioni) il trattamento del diabete di tipo 2 con una terapia di combinazione con metformina e un DDP4 inibitore (vildagliptin) perché dà risultati migliori e più durevoli sul compenso metabolico e sulle complicanze cardiovascolari.

Cinque anni la durata dello studio, che ha arruolato 2001 pazienti con diabete di tipo 2 neo-diagnosticato e lieve iperglicemia (emoglobina glicata all’ingresso compresa tra 6,5 e 7,5 %), suddivisi in due gruppi trattati l’uno con la terapia combinata di cui sopra e l’altro con la sola metformina+placebo. Sono stati effettuati controlli a distanza di 3 mesi e i risultati dimostrano che adottare da subito una terapia di combinazione riduce del 49% il rischio relativo dell’intervallo di tempo prima del fallimento terapeutico e della terapia insulinica, rispetto alla monoterapia con metformina. In sostanza questa scelta aiuta i pazienti a mantenere valori di emoglobina glicata inferiori rispetto a quelli trattati inizialmente con la sola metformina e poi passati alla terapia di associazione.

“Iniziare subito il trattamento del diabete con una terapia di associazione – commenta il professor Del Prato, ordinario di Endocrinologia all’Università di Pisa e presidente dell’EFSD (European foundation for the study of diabetes) – permette ai pazienti di raggiungere gli obiettivi glicemici prima, meglio e di mantenerli più a lungo. Significa agire in maniera proattiva, senza dover ‘correre dietro’ alle persone che perdono il compenso metabolico. Questo contribuisce inoltre a migliorare l’adesione terapeutica del paziente e a uscire dall’empasse dell’inerzia curativa. Sul fronte del miglioramento delle complicanze – prosegue – questo studio non può ancora dare risposte definitive perché, trattandosi di pazienti con diabete neo diagnosticato, non ha ‘catturato’, durante i 5 anni di follow up, un gran numero di eventi. I dati raccolti però, per quanto esigui e dunque privi di significatività statistica – conclude Del Prato – suggeriscono che la terapia di combinazione precoce potrebbe dare benefici anche in termini di risparmio delle complicanze cardiovascolari”.

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