Cultura/

Diari toscani: ‘Autostop’ di Sergio Giommoni

Il racconto di un viaggio rocambolesco verso l’India passando per la Siria, realizzato grazie a una catena di passaggi automobilistici

Sergio Giommoni

Sergio Giommoni, nato a Grosseto nel 1951, si muove con agilità nel magma giovanile. Vive all’interno di una comune con la compagna Laura ed è insieme a lei che progetta di partire, zaino in spalla, per raggiungere l’India con una catena infinita di passaggi automobilistici. Il racconto della loro impresa è ricostruito in una memoria dalla quale emergono con forza i sentimenti e gli stati d’animo che l’hanno accompagnata. Ma prima di raggiungere l’India ci sono altre tappe importanti come in Siria, dove Sergio attraversa le meravigliose pinete che a quei tempi circondano Aleppo e che la recente guerra civile ha sterminato insieme alla popolazione civile. Anche allora Damasco era sul piede di guerra, con le truppe rivolte verso il confine con il Libano da poco precipitato in un conflitto civile, come Sergio non dimentica di annotare. La notte del 30 giugno 1976, un anno prima del suo spericolato viaggio, i primi reparti corazzati siriani avevano varcato il confine libanese per occupare in poco più di un mese circa i due terzi dello stato confinante. Da allora, fino al 2005, migliaia di soldati siriani sono rimasti nel Paese dei cedri.

Fernetti (Trieste), Italia, 20 maggio 1977. Sergio e la compagna, Laura, sono in partenza per qualcosa di più di un semplice viaggio. Sono diretti in India, in autostop, pronti ad affrontare un’esperienza generazionale tipica degli anni Settanta.

“Siamo partiti da Siena il giorno 20 maggio del 1977. Era una giornata piena di sole, noi eravamo lì fermi al solito posto dove facevamo l’autostop per andare a Firenze sulla superstrada. Però quel giorno il nostro tragitto, il nostro percorso sarebbe stato diverso. La prima persona che si fermò ci chiese: “dove andate?” E noi gli dicemmo non l’obiettivo più immediato, bensì: “in India”. E questo era il nostro destino finale. Quella giornata andò liscia come l’olio. La sera alle undici (noi eravamo partiti verso le nove di mattina), eravamo al confine tra l’Italia e l’allora Juguslavija, Fernetti mi sembra, e continuavamo a fare l’autostop.”

sfoglia la gallery

Batroun, Libano, maggio 1977, Sergio e Laura sono in Libano, nuova tappa di un lungo viaggio in autostop verso l’India. Corre l’anno 1977.

“Entrare in Siria a quei tempi non era difficile, ci dettero un visto di passaggio di una settimana, riempiendoci il passaporto di francobolli e così entrammo in Siria. Lì al confine dove ci aveva lasciato il pick-up che ci aveva portati fino a quel punto, incontrammo un grasso signore piuttosto anziano che era alla guida di una 125 Fiat, un tipo molto simpatico, gioviale. Questi ci caricò e, mentre attraversavamo questa striscia di Siria che si affaccia appunto sul Mar Mediterraneo per arrivare in Libano, attraversando un bosco di pini di Aleppo meraviglioso – io non li avevo mai visti tanti così insieme – ci disse appunto che lui tornava dall’Italia dove aveva comprato quella macchina. Scoprimmo così che era un traffico tipico dei libanesi, andare in Italia o comunque in Europa a comprare le auto e rivenderle in Libano. Andammo, attraversammo la striscia di Siria, raggiungemmo il confine con il Libano e così vi entrammo.
Quello che ci aspettava era un paese che era appena uscito dalla guerra civile, noi non eravamo spaventati – forse la spensieratezza di quei giorni ci contagiava – però ogni due chilometri di strada trovavamo un posto di blocco dell’esercito di liberazione siriano che era intervenuto in Libano da non più di uno o due mesi per pacificare la guerra civile che si stava verificando tra cristiano-maroniti e palestinesi. Quindi ogni due chilometri c’era questo posto di blocco, noi non avevamo niente da nascondere per cui siamo passati abbastanza velocemente e siamo arrivati alla prima grande città del Libano Settentrionale, Tripoli, dove il nostro amico si fermò per fare spesa, per comprare delle cose che avrebbero poi fatto comodo a casa sua, casa alla quale giungemmo tutti insieme. Lui si piccò e disse: “no voi restate con me, voi siete miei ospiti” e cosi arrivammo a casa sua ad El Batroun, dove ci saremmo fermati una settimana. La moglie e il figlio di questo libanese, Mr. Johnny come lo chiamava sua moglie, ci accolsero con grande calore, con grande affetto, ci dettero una stanza, in casa loro naturalmente, e il ragazzo, il figlio di Mr. Johnny ci portava in continuazione a giro a farci conoscere i suoi amici. Tra questi amici c’era anche la sua fidanzata, che di nome si chiamava Baader – poi mi hanno detto che in arabo significa Luna – la quale mi faceva una corte spietata, nonostante io fossi lì accompagnato da una donna, nonostante ci fosse il suo ragazzo lì, però lui, il nostro amico, non dava segni di malessere o gelosia, per lui l’ospitalità era qualcosa di sacro.”

Brani tratti da “Italiani all’estero. I diari raccontano” un progetto realizzato con il contributo della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Un progetto di Nicola Maranesi per l’Archivio diaristico nazionale. Consulenza editoriale di Pier Vittorio Buffa. Ricerca d’archivio e redazione testi: Laura Ferro e Nicola Maranesi. Ricerca iconografica e organizzazione delle fonti documentali: Antonella Brandizzi. Fotografie di Luigi Burroni.

Per informazioni:
https://www.idiariraccontano.org/

 

I più popolari su intoscana