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Disagio, amore, maternità: il film Sole di Carlo Sironi, Premio Nice 2020, è un piccolo capolavoro

L’opera vince il  premio Città di Firenze, attribuito dal Nice Festival, e sarà presentato in anteprima venerdì 11 dicembre sulla piattaforma online Più Compagnia

Film Sole - © Foto ufficio stampa Nice Festival

Nel panorama del cinema italiano si affaccia un nuovo talento, quello di Carlo Sironi, classe 1983, che al suo primo lungometraggio, Sole, mostra di avere un bel tratto autoriale. Il film, dopo essere stato presentato in concorso, nella sezione Orizzonti, al festival di Venezia 2019 e al Toronto International Film Festival, nella sezione Discovery, ha vinto il Premio Nice Città di Firenze 2020 e sarà presentato venerdì 11 dicembre sulla piattaforma Più Compagnia (www.cinemalacompagnia.it). Nell’ambito dell’iniziativa organizzata dal Nice Festival, diretto da Viviana Del Bianco, il film si aggiudica anche il premio Studenti, Le chiavi della città del Comune di Firenze e il premio Angela Caputi.

Il Premio Nice, che per la prima volta in trent’anni di attività propone al pubblico una tre giorni di nuovo cinema italiano (11 – 13 dicembre, Più Compagnia), attribuisce il riconoscimento ad un film che esce dai toni della commedia, ormai molto usati – e abusati – nella cinematografia nazionale. Lo stile di Sironi va avanti per sottrazioni, per silenzi, per il non detto, per ciò che si intuisce, ciò che potrebbe accadere ma che non viene mostrato, e proprio per questo porta lo spettatore ad appassionarsi ad una vicenda umana drammatica, ma a lieto fine.

La storia raccontata è quella di due giovani, Lara e Ermanno, due outsider che vivono ai margini della società, lui un nullafacente che ha perso interesse per la vita dopo che suo padre è morto suicida e che trascorre il suo tempo davanti ai videopoker; lei  una straniera con problemi economici che sta cercando un posto dove trovare un futuro possibile, forse in Germania. La ragazza è in stato interessante ed è venuta in Italia per vendere la figlia che porta in grembo ad una coppia, gli zii del giovane protagonista, ai quali quest’ultimo si presta a fare da spalla, per facilitare le pratiche di affidamento.

Ma dal vuoto pneumatico delle due vite ai margini, nasce un sentimento inaspettato, perché sentire un cuore che batte durante un’ecografia in gravidanza è un’esperienza che non lascia indifferenti e la bambina, oggetto della transazione economica tra la coppia italiana e la ragazza venuta dalla Polonia, è viva e vegeta, in carne ed ossa, e non si può rimanere insensibili di fronte al suo pianto, al suo bisogno di affetto.

Il film è molto bello anche grazie alla recitazione dei due giovani protagonisti: l’attore non professionista che interpreta Ermanno, Claudio Segaluscio, che ricorda gli attori “presi dalla strada” della storica scuola neorealista, e la talentuosa attrice professionista polacca, Sandra Drzymalska. I due, come ha raccontato il regista, non si capivano durante la lavorazione del film, comunicavano solo in inglese, cosa non sempre semplice, oppure in italiano, ma solo per le battute imparate a memoria dalla ragazza. Ma il gioco di sguardi che hanno saputo trovare è intenso e si capisce che la comunicazione tra i due è avvenuta ad un livello più profondo: un elemento in più per dimostrare che anche due mondi  lontani tra loro, possono incontrarsi.

Il film ha inoltre il pregio di far riflettere sulle pratiche illegali, che purtroppo avvengono anche nel nostro paese, portate avanti da chi, animato dal fortissimo desiderio di avere un figlio, si affida a scambi non consentiti, approfittando di situazioni di disagio economico.

il film – ha dichiarato il regista – parte  da una ricerca sul campo: in Italia la maternità surrogata è vietata dalla legge, ci sono molti espedienti illegali nel mondo delle adozioni, dove il traffico di neonati è una realtà concreta. Ho iniziato a documentarmi e ho immaginato un “caso” come quello raccontato nel film. A quel punto ho contattato la Presidentessa del Tribunale dei Minori di Roma, che mi ha confermato che aveva affrontato personalmente episodi di quel tipo. Ho continuato la mia ricerca e ho capito che ciò che volevo raccontare non era il mondo che si nasconde dietro alla tratta dei neonati, ma una storia privata: la storia di un ragazzo che, chiamato a fingersipadre, arriva a sentirsi padre davvero. Un percorso di identificazione attraverso l’interpretazione di un ruolo fittizio. Dall’altra parte volevo raccontare una ragazza che, decisa a vendere la propria figlia, si trova ad affrontare tutti i conflitti emotivi che scaturiscono dal contatto forzato con la figlia e dal legame inaspettato con un ragazzo sconosciuto”.

 

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