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Storie /LA RECENSIONE

Il Divin Codino, il film su Baggio che ti emoziona. A metà

Il film su Netflix dedicato al campione è biopic sull’uomo: un ragazzo coi suoi tormenti, quel rigore calciato in cielo ai mondiali Usa,  la fede buddista che ha conosciuto a Firenze e che lo ha aiutato a inseguire i suoi sogni: un viaggio in un calcio dai contorni umani

Tarda primavera del 1990. I pollini svolazzano, i mondiali si avvicinano, i tifosi si infiammano, la polizia presidia la sede dalla Ac Fiorentina, in piazza Savonarola. Nella sala delle riunioni l’avvocato Claudio Pontello, fratello del Conte Flavio, gestisce nervosamente una conferenza stampa che corre sul filo. La tensione è feroce. Fuori, in piazza, più di mille tifosi sono collegati a Radio Blu, perché David Guetta tiene il suo mega telefono cellulare, quello pesante come un mattone, sotto la bocca del Pontello chiamato a spiegare. Tocca a me. Domanda inevitabile.

Ora che avete venduto Roberto Baggio alla Juventus venderete la Fiorentina?

Riposta stizzita: assolutamente no.

Mezza frazione di secondo dopo un sasso spacca la finestra dello studio della presidenza, quello a un passo dalla sala dove stiamo vivendo uno dei momenti più bassi della storia della Fiorentina.

Uno strappo che segna la fine di un’epoca e l’inizio di un altro calcio

Dopo quel sasso cambia tutto. Le notizie non sono più dentro quella sala, ma sono fuori: in piazza Savonarola, sui viali, in Piazza Donatello, dove vive la famiglia Pontello, un po’ ovunque, per le strade di Firenze, dove la ribellione scuote una città ferita nel suo orgoglio. Fino a sera le cariche della polizia, gli arresti, i cassonetti bruciati, la rabbia padrona di Firenze e di uno strappo che segna la fine di un’epoca e l’inizio di un altro calcio, quello dove il cuore viene messo all’angolo per fare posto al puro business. Ma questa è un’altra storia.

 

Parliamo di Roberto Baggio, invece.

Un ragazzo coi suoi tormenti, quel rigore calciato in cielo ai mondiali Usa, quell’incubo che potrà sfidare solo con la fede buddista

Il Divin codino, su Netflix. Biopic sull’uomo, più che altro. Un ragazzo coi suoi tormenti, quel rigore calciato in cielo ai mondiali Usa, quell’incubo che potrà sfidare solo con la fede buddista, quella che ha conosciuto a Firenze che lo ha aiutato a inseguire i suoi sogni, portato sempre con sé, dando un senso più profondo alla sua vita. Sono curioso. Ok, l’infortunio, Firenze, Mister Disco, il negozio a un passo dallo stadio dove, cercando tra i vinili, Baggio incontra Maurizio, che gli parla di Buddismo. Il Boldrini, l’Ugolini, il Boce, il Viva, persone di gran cuore. Poi c’è l’adrenalinico Vittorio Petrone, che gli farà da manager. Tutto bello. Vero. Sì. Poi Sacchi, la difficoltà per un genio di trovare un ruolo, gli allenatori che detestano la sua presenza ingombrante e dicono in giro cattiverie del tipo: Baggio non fa gruppo. Vabbè, niente spoiler, perché se vi interessa ve lo potente guardare, chiaro.

Comunque. Lo vedo la prima volta e resto deluso. Forse perché avevo troppe aspettative, forse perché quei giorni li ho vissuti, forse perché tanti di noi con lui abbiamo condiviso un mondo, amici, avventure.

Mi chiedo: ma un ragazzo chiuso a Coverciano a pregare mentre fuori una città brucia per lui non vale da sé già una grande storia?  

E poi perché, da amante delle sceneggiature, mi chiedo: ma un ragazzo chiuso a Coverciano a pregare mentre fuori una città brucia per lui non vale da sé già una grande storia? Invece Firenze finisce lì. Si passa direttamente ai mondiali, a Sacchi e a tutta la retorica sul calcio organizzato e sul campione scomodo. Tutto vero, però.

Ci ripenso. Prima di mettere in discussione un film su uno dei miei miti calcistici devo scollarmi di dosso il mio punto di vista, che in questo caso pesa troppo, perché ero lì.  Lo rivedo con occhio più distaccato. Ci provo, via. Colgo la bravura del padre Florindo (Andrea Pennacchi, e vabbè), un Martufello Mazzone che forse è troppo carico ma è anche dolcissimo, Andrea Arcangeli che interpreta Baggio che cresce col passare dei minuti. Meglio il Baggio maturo, secondo me. Bella la scelta delle musiche (1979 degli Smashing perfetta), finale molto tenero con piccolo colpo d scena.

Baggio che raccoglie la sciarpa della Fiorentina il giorno del suo ritorno da juventino non è un gesto che spiega tutto?  

Ok, ho rivisto la mia prima opinione ma torno subito a ciò che mi è piaciuto meno. E lo dico senza alcuna cattiveria, anche perché quello che contava era un atto dovuto a un pallone d’oro e una leggenda. Ecco: forse si poteva fare di più. Ma il budget era quello che era e per questo viene fuori una mezza fiction tv che non convince del tutto nella regia. E poi Baggio che raccoglie la sciarpa della Fiorentina il giorno del suo ritorno da juventino non è un gesto che spiega tutto? Non lo dico per questione di tifo, ma solo perché quello era il valore di un calcio dai contorni umani che sarà bene raccontare sempre ai più giovani. Detto questo, quando ripenso al Divin codino ripenso a un mantra a dei gol incredibili e a quella sassata.

Che campione, Roberto Baggio, fuoriclasse assoluto. E semplice.

 

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