Innovazione /L'INTERVISTA

Informatica, a Pisa si è fatta la storia: “Dai pionieri impariamo a conoscere le luci e le ombre del web”

Intervista al professor Fabio Gadducci, direttore del Museo degli strumenti del calcolo e ideatore dei podcast di divulgazione sui protagonisti degli anni ’50. “Oggi tutto è a portata di dita, anche le fake news, difendiamoci facendoci sempre domande”

Un tempo, intorno agli anni ’80, era facile etichettarli malevolmente come nerd: personaggi enigmatici, introversi  che custodivano e decifravano i segreti del web. Oggi, 40 anni dopo, tutto è cambiato: l’informatica è patrimonio comune, “pop” e i ricercatori sono donne e uomini che programmano ad ogni livello della scienza. Prima ancora, a Pisa, negli anni ’50 c’erano pionieri, i visionari, coloro che hanno seguito un’intuizione e creato letteralmente il primo computer, grande come una stanza,  legando quei nodi della rete che oggi ci fanno viaggiare veloci sul web.

Tutto questo è già storia e l’Università di Pisa, insieme al Museo degli strumenti del calcolo, se ne è fatto custode, ma soprattutto ha raccolta una missione sociale ben precisa: divulgare. Come lo sta facendo? Utilizzando gli strumenti del web ovviamente, come i podcast. Per ora sono sei disponibili sulle principali piattaforme – Spotify, Google e Apple – , realizzati con Internet Festival, nel quale si racconta come è stata creata la Calcolatrice Elettronica Pisana, inaugurata nel 1961,  dell’Elea 9003 e della installazione del Ferranti Mark 1 all’INAC di Roma. A parlare sono alcuni di quei pionieri dell’informatica: Giuseppe Cecchini, Elio Fabri, Franco Filippazzi, Elisa Montessori, Luigi Pistelli e Roberto Vacca.

L’ideatore di questa operazione è il direttore del museo e professore di Informatica all’Università di Pisa, Fabio Gadducci, che ha costruito questo progetto insieme al regista Lorenzo Garzella e con Maurizio Gazzarri ed Elisabetta Mori, esperti di storia dell’informatica.

Fabio Gadducci

Professor Gadducci, molti ragazzi non conoscono come, e da dove, tutto è partito

Diciamo che ben pochi lo sanno in generale, non solo ragazzi. Il punto principale è che l’informatica ha una storia fragilissima: oggi leggiamo e comprendiamo benissimo Fibonacci, ma capire il software di trent’anni fa è difficilissimo. Lo vediamo anche quando aggiorniamo il nostro telefono che il livello di obsolescenza è altissimo. E noi come museo rispondiamo a una esigenza di conservazione, comunicando una storia orale di come negli anni ’50-’60 i tecnici hanno importato e trovato una soluzione. Abbiamo quindi raccolto una serie di interviste, rese fruibili attraverso podcast. L’idea, in futuro, è quella di creare un documentario con tutto il materiale raccolto, che è tanto.

Quella dei pionieri è una storia motivazionale importante, che deve ispirare

Perché è importante conoscere questa storia che, se pur fragile, è molto intensa.

Per capire fino in fondo la sfida epocale che è stata affrontata. I pionieri hanno avuto una visione di cosa è l’informatica in un periodo relativamente lontano, a cavallo tra gli anni 50 e 60,  importando tutto dall’estero e creando dal nulla una nuova meccanica. E’ una storia motivazionele importante, che deve ispirare. Si tratta, certo, di un’era geologica fa se si considera la velocità con cui cambia questo settore, ma è una sfida riuscita e lancia luci e ombre sui nostri comportamenti attuali.

Partiamo dalla luce che porta il web

Pensiamo solo alla brutale potenza di calcolo che hanno queste macchine, alla mole di testi e informazioni a disposizione. Tutto è online, ogni ricerca è archiviata sul web, tutto è a portata di dita. Una ricchezza mai avuta in secoli di storia.

E le ombre?

Dobbiamo essere utuenti consapevoli per non essere preda di fake news, di analisi e statistiche fallate. Basti pensare cosa si sta verificando ora con la propaganda no-vax. La nostra storia culturale, grazie alla rete, è fruibile per tutti, ma al tempo stesso, come contraltare, può essere manipolata.

Essere sempre scettici, farsi domande e verificare

E come ci difendiamo

Essere scettici, farsi sempre domande e verificare. Come in nostri pionieri, che hanno – possiamo anche dirlo – copiato dall’estero e hanno avuto l’intuizione. Hanno verificato, analizzato i punti forti e quelli deboli e si sono migliorati. Vi assicuro che trovatre il report Ibm negli anni ’50 era molto difficle rispetto alle disponibilità che abbiamo adesso…

Ma la mole di informazioni è enorme, ingestibile a volte, ed è difficile orientarsi. Come fare?

L’importante è evitare le bolle, le cosiddette echo chamber. Uscire dal solito giro di siti web: per conoscere bisogna andare in mare aperto. Un ruolo lo hanno anche le donne e gli uomini di scienza che si sono un po’ tirati fuori dal loro isolamento. Credo che in questi anni la percezione che ha il mondo accademico sia diversa. Lo abbiamo visto anche in pandemia: tralasciando i virologi da tv, abbiamo visto scienziati parlare di modelli statistici dell’epidemia.

Un segnale anche di come sia cambiata la percezione dell’informatica.

Si è capito finalmente che l’informatica è imprescindibile. Oggi non possiamo immaginarci senza ed è per questo fondamentale investire in infrastrutture, ma soprattutto aumentare il numero di persone consapevoli e competenti. Il mondo è cambiato, non torneremo più in presenza come prima, anche lo smart working resterà…Sono i lati di luce e di ombra dell’informatica. Negli anni ’80, quando è nata la figura del nerd, l’informatica era incomprensibile. Adesso è ovunque, è tutt’altro che aliena.

La sfida dunque è l’educazione all’uso consapevole del web, per giovani e meno giovani.

Uno degli obiettivi principali del museo è attirarli verso questo settore. Quando guardano il calcolatore degli anni ’50 vedono che ha la stessa struttura del telefonino che hanno in tasca: cpu, memoria… Dobbiamo fascinare i giovani che, rispetto a qualche anno fa, sono molto cambiati. Non mi piace chiamarli nativi digitali, loro sono molto più consapevoli dei mezzi che hanno a disposizione e di come questa disciplina sia importante. Basta guardare i corsi all’Università di Pisa: sono frequentati da studenti molto diversi tra loro e anche ciò che si studia è molto trasversale, penso all’informativca umanistica ad esempio.

A Pisa continuiamo a sfruttare l’onda lunga delle connessioni attivate negli anni ’50

E Pisa resta comunque un punto di riferimento del settore

Certo, l’Università continua ad avere un ruolo centrale per la storia, per quello che ha rappresentato e per la ricerca. Continuiamo a sfruttare l’onda lunga delle connessioni attivate negli anni ’50. E continueremo a farlo.

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