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Internet Festival, anno zero: la pandemia ha cambiato le nostre vite ma anche la Rete

Intervista a Claudio Giua, direttore della manifestazione che da dieci anni indaga il web e quest’anno riparte dal tema #Reset

Claudio Giua

Internet Festival riparte da #Reset. È questo il tema della decima edizione della manifestazione che indaga la Rete e in questo 2020 difficile, segnato dalla pandemia di Covid-19, sceglie di “resettare” il sistema, per ricominciare da nuove basi, online e offline.
Dall’8 all’11 ottobre esperti internazionali si ritroveranno a Pisa per quattro giorni di panel, laboratori e appuntamenti culturali. Ma il festival non si ferma qui: proseguirà fino a dicembre con tante iniziative in streaming.

Abbiamo chiesto al direttore di IF Claudio Giua di raccontarci qualcosa di più su questa edizione speciale, non solo perché segna il decennale ma anche perché avviene in un anno complicato e di grande cambiamento.

Direttore, come mai avete scelto il tema #Reset? Cosa significa?
È un tema che è stato deciso negli ultimi mesi. Abbiamo attraversato uno dei momenti più bui e più difficili della nostra storia recente in cui tutto si è fermato. Non c’è stato un guasto della società come è avvenuto in altre occasioni, come ad esempio dopo la guerra. Abbiamo vissuto un vero stop della società, nelle sue varie articolazioni: la politica, la vita civile e sociale. E anche il mondo digitale, che è stato di grande supporto nella fase del lockdown, ha molto sofferto.
Ora bisogna resettare tutto, ripartire e capire che le condizioni a cui oggi ciascuno di noi deve adattarsi sono diverse da quelle precedenti.

La pandemia quindi ha cambiato anche il web?
Certamente. Durante il lockdown siamo stati costretti a utilizzare la Rete per fare molte delle attività che prima avvenivano fisicamente, dai rapporti di lavoro a quelli personali.  Questo ha cambiato il rapporto che molti avevano con la Rete, da sporadico è diventato molto frequente, e ci siamo abituati anche a informarci molto più sul web rispetto a prima, senza passare dalla tv o dalla radio.
Inoltre molte aziende lo hanno utilizzato come canale fondamentale di distribuzione. Insomma il cambiamento ha riguardato un po’ tutti, dalle imprese ai cittadini, pensiamo al rapporto con gli uffici pubblici che si è spostato online, ancora oggi i rapporti con alcuni uffici è quasi impossibile averli fisicamente, è un cambiamento epocale.

Di questo mutamento antropologico che siamo stati costretti a vivere rimarrà qualcosa?
Rimarrà tantissimo. Lo smart working ad esempio sta diventando un asset fondamentale per le aziende, che hanno capito che avere tutte quelle persone in uno stanza per otto ore al giorno non ha un gran senso. Il lavoro può essere fatto a distanza, con tempi diversi e risultati che in molti casi sono migliori perché la gente lavora in modo più tranquillo.
Ci sarà certamente una quota di lavoratori che non torneranno negli stessi locali e nelle stesse condizioni in cui erano precedentemente. Come i call center, che oggi sono quasi tutti organizzati da casa e rispondono con la stessa efficienza e celerità di prima, anzi più velocemente perché ha meno distrazioni e meno frustrazioni.
Vedremo nelle prossime settimane invece cosa succederà per la didattica a distanza, credo che in molti casi continuerà, i docenti più capaci di utilizzare la rete continueranno dove possibile ad avere una parte del loro rapporto con gli studenti a distanza.

Dovremo anche adeguare gli spazi architettonici alle nuove condizioni. Il ricorso allo smart working probabilmente libererà una serie di spazi che dovranno essere utilizzati per creare situazioni di lavoro più consone alla nuova situazione e anche più gradevoli di quelle del passato.
Invece quello che è successo nelle ultime settimane, col virus che si è moltiplicato nei luoghi di divertimento più affollati, in futuro cambierà anche il modo di stare assieme nei luoghi pubblici, come i cinema dove già oggi si sta seduti lontani.

Ci sono alcune soluzioni digitali che possono aiutare a ricostruire il senso di una comunità che altrimenti andrebbe perso. Qualche giorno fa ho visto la partita di tennis di Berrettini a New York e sotto si sentiva una registrazione di applausi e voci, ma non erano gli applausi finti delle sit-com americane: trasmettevano il senso della realtà perché erano reali, erano le voci di alcune persone che stavano veramente seguendo la partita.

Qual è il bilancio di questo primo decennio di Internet Festival?

IF ha una missione molto precisa: fare il punto ogni anno sulle forme di futuro che stanno prevalendo. Spesso abbiamo presentato e in alcuni casi anticipato alcune tendenze che poi sono entrate a far parte della vita di ciascuno di noi, anche se qualche volta è successo anche di presentare come rilevanti fenomeni che poi sono rapidamente scomparsi.
Negli anni poi ci siamo specializzati su alcune tematiche: abbiamo un’area giuridica unica in Italia, dove valutiamo con attenzione gli effetti delle normative e dei regolamenti sul mondo digitale.

Quindi il bilancio complessivo è molto positivo. Quest’anno il festival sarà in parte in presenza e in parte a distanza, per cui non avremo gli stessi numeri di persone fisicamente presenti degli anni scorsi. Non avremo quel numero enorme di studenti che affollava le nostre proposte dei T-Tour, cioè i percorsi formativi per bambini e ragazzi dalle elementari alle scuole superiori. Cercheremo di raggiungerli anche a distanza con delle iniziative ad hoc, perché il festival non si fermerà dopo i quattro giorni a Pisa ma continuerà successivamente.

Io credo che il ruolo di Internet Festival sia fondamentale e che godrà di una lunga vita. Non parla più soltanto della Rete ma dell’innovazione in senso lato, quindi ogni anno potrà essere innovato e adeguarsi alla realtà.

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