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Dieci anni di viaggi tra imprevisti e lavoro online, intervista a Angelo Zinna

Scrittore, fotografo, autore di un podcast sull’Est e creativo. In questa intervista conosciamo più da vicino Angelo Zinna che ha messo al centro del suo lavoro le passioni per il viaggio, la scrittura e la fotografia

Angelo Zinna – https://www.instagram.com/angelo_zinna/

Dopo aver vissuto e lavorato per circa dieci anni tra Australia, Nuova Zelanda, Asia, Londra e Amsterdam l’empolese Angelo Zinna è tornato a Firenze. In un assolato pomeriggio invernale lo abbiamo intervistato per capire meglio le sue passioni, la scelta di vita che ha fatto, cosa vuol dire lavorare viaggiando con uno sguardo anche all’impatto che ha avuto la pandemia sui nomadi digitali.

Come è nata l’idea di partire e di lavorare viaggiando?

Sono andato via da Empoli 12 anni fa, finite le superiori. Ho lavorato 7 mesi in un bar a Firenze per guadagnare i soldi per partire. Poi ho fatto diversi lavori in Australia, dove sono stato un anno. Inizialmente l’idea era di trascorrere sei mesi all’estero per lavorare e poi rientrare per fare l’università. Arrivato in Australia, mi si è aperto un mondo perché ho capito che avrei potuto viaggiare e conoscere nuove persone seguendo le mie passioni.

Ho fatto un primo piccolo passo e poi da lì tutti gli altri passi sono venuti in automatico, semplicemente ho lasciato che succedessero.

Lavorare online è venuto di conseguenza?

Sì, nasce un po’ in parallelo pensando allo stile di vita che volevo. Ho iniziato a scrivere di viaggi una decina d’anni fa partendo da un blog dove provavo a rispondere alle domande che mi arrivavano su come trasferirsi in Australia, da qui è nato un blog e poi una guida. Ho poi da sempre avuto la passione per l’arte e la fotografia. Passioni che ho potuto trasformare in lavoro, viaggiando. Quando mi sono trasferito in Australia, lavoravo nei bar e nei ristoranti, poi ho iniziato a cercare quale fosse il lavoro che mi permettesse di viaggiare, da qui ho iniziato a fare lavori legati alla scrittura, come traduzioni e a seguire progetti di marketing e comunicazione.

Nel TED talk che hai tenuto al TEDxEmpoli nel 2019 hai raccontato come, in questi anni, tu ti sia creato uno stile di vita che ti permette di affrontare e gestire gli imprevisti, dopo tre anni è ancora così? E che impatto ha avuto la pandemia?

Ha avuto un impatto negativo come per tutti, quell’attitudine del “come va, va” chiaramente mi ha aiutato a superarla. Sicuramente non avevo previsto di essere a Firenze. Fino allo scorso anno abitavo ad Amsterdam, poi a novembre ho contratto il covid e ho iniziato a riflettere sulla mia vita. Potevo stare un altro anno chiuso in casa, visto che lavoro online e seguivo un master online oppure mi sarei potuto spostare. Ho dovuto prendere una decisione. Prima volevo spostarmi a Budapest, ma poi sono state chiuse le frontiere. Così sono tornato in Italia, a Roma nello specifico, dove mi sono occupato di scrivere la guida dedicata alla capitale per Lonely Planet. Per la prima volta mi sono trovato così a scrivere di un luogo avendo il tempo per fare ricerca, di solito invece accade il contrario, vado in un posto dove raccolgo una storia che poi propongo ad una rivista per la pubblicazione.

Durante i tuoi viaggi hai incontrato un po’ di imprevisti. Come si reagisce e si superano questi eventi in luoghi o paesi dove non si parla la stessa lingua?

Tendenzialmente mi fido abbastanza dell’umanità a cui si aggiunge una buona dose di incoscienza. Non mi sono mai posto troppo il problema di cosa potesse andare veramente storto e ho visitato anche luoghi dove tante persone non andrebbero. Mi sono spostato sempre e abbastanza a cuor leggero, chiaramente con gli anni poi sono andato a cercarmi cose un po’ più difficili anche per spingermi oltre il limite.

Che cos’è per te un imprevisto?

Un imprevisto è incontrare per caso una persona in ostello o in un tour che mi chiede di andare insieme in un luogo, a quel punto sta a me accettare o meno. Mi piacciono molto questo tipo di situazioni perché sono quelle che mi rimangono in mente e da cui nascono poi delle storie che altrimenti non racconterei. Sono imprevisti positivi, molto diversi invece dagli incidenti. Nel mio percorso ce ne sono stati pochi, per esempio mi è stato rubato lo zaino una volta, ma non è mai successo niente che mi abbia fermato.

Insieme a Eleonora Sacco, viaggiatrice e autrice del blog Pain de Route, avete creato Cemento, un podcast dedicato all’Est. Come è nato questo progetto?

Quando abbiamo iniziato non ci conoscevamo. Ci seguivamo a vicenda sui social, sapevamo di avere in comune questa passione per l’Est ma non pensavamo fosse una passione che accomunasse così tante persone. Da grande consumatore di podcast volevo sperimentare questo formato e l’ho proposto ad Eleonora che ha accettato con entusiasmo. Lei è molto brava a spiegare le cose, ha voglia di rappresentare i posti dove va con entusiasmo e con onestà. Abbiamo una visione simile di quella parte del mondo e nel podcast ognuno di noi ha portato sul tavolo aspetti ed elementi diversi e questo, credo, funzioni.

Un esperimento che ha funzionato: 3 stagioni all’attivo e una newsletter in abbonamento con tanti approfondimenti.

Ci ascoltano tanti appassionati, ma anche tanti studenti. Questo ci ha fatto venire un po’ la sindrome dell’impostore e di dimostrare che siamo all’altezza delle aspettative. Ci siamo messi a studiare ancora di più. Per realizzare le otto puntate che formano una stagione ci vogliono sei mesi. Individuiamo un filo conduttore e poi ci dividiamo gli argomenti da affrontare.

Spoiler sulla prossima stagione?

Le idee non mancano mai, c’è un una lista infinita di argomenti che ci siamo segnati e di cui si potrebbe parlare. L’Est è veramente una fonte infinita di ispirazione e di storie anche curiose che uno non si aspetta di trovare.

Tra il blog, la tua newsletter “Collisioni”, il podcast o altri progetti che hai curato, c’è una storia a cui sei più affezionato?

Nel 2016 ho pubblicato il libro “Un altro bicchiere di arak. In Iran attraverso la Via della Seta” per Villaggio Maori, questa storia mi è rimasta a cuore, anche perché ha rappresentato un periodo della mia vita in cui non sapevo bene cosa sarebbe successo. Dopo aver vissuto per tre anni tra Australia e Nuova Zelanda sono ripartito con l’obiettivo di tornare in Europa via terra, senza volare. Dopo due anni in viaggio per l’Asia, ero molto stanco e l’ultima tappa è stata l’Iran. Non sapevo cosa aspettarmi, l’ISIS si stava espandendo in Iraq e sono arrivato lì con i miei pregiudizi. Invece ho trovato tutto l’opposto, quasi ogni giorno ho incontrato persone disposte ad accogliermi, che mi hanno offerto un passaggio o da mangiare. Tornato in Italia, ho passato i sei mesi successivi a scrivere le storie delle persone che ho incontrato in questo viaggio come quella della donna che lottava per togliersi il velo, quella di chi si produce l’alcool in casa o quella di una persona arrestata per futili motivi.

E dopo?

Quando è uscito il libro ho deciso di prendere la scrittura sul serio, mi sono trasferito ad Amsterdam e qui mi sono iscritto all’Università. Ho anche avuto il dubbio di aver romanticizzato troppo l’Iran e averla raccontata con uno sguardo occidentale, così ci sono tornato. Per tre settimane ho viaggiato attraverso il Paese utilizzando CouchSurfing e facendo l’autostop. Tutto quello che pensavo e che ho scritto si è confermato.

 

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Come è stato tornare a Firenze?

Sono contento e Firenze ha la dimensione giusta per me. Qui ho amici e contatti per lavorare. In un momento in cui potrei andare ovunque perché lavoro online, sento il bisogno di trovare un equilibrio e una base fissa dove posso scrivere e lavorare.

Progetti per il futuro?

Attualmente sto collaborando con Accidentally Wes Anderson, un progetto su Instagram dove raccolgono foto che per colori e simmetrie potrebbero far parte di un film di Wes Anderson. A breve ci sarà una mostra in Corea con anche due mie foto. Mi piacerebbe realizzare una mostra fotografica qui a Firenze dedicata al Kirghizistan perché mi piacerebbe portare un po’ di questa parte di mondo anche qui. Sono poi a metà di un altro libro dove sto ripensando il cliché sull’andare in Asia per trovare sé stessi, per poi in realtà non trovare niente.

 

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