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IGORT il creatore di mondi: “Dall’alba dei tempi l’essere umano ha sempre avuto bisogno di racconti e di disegni”

L’illustratore, fumettista, grafico, regista, musicista, editore e molto altro è protagonista di una mostra personale a palazzo Blu a Pisa aperta fino a settembre

Illustratore, fumettista, regista, musicista sperimentale, fondatore di una casa editrice la Coconino Press (e poi Oblomov Edizioni) e direttore di Linus il più importante e poi antico mensile italiano dedicato al fumetto.

Igor Tuveri in arte IGORT è un talento poliedrico e cosmopolita, un creatore di mondi, che quando immagina, scrive o disegna lo fa senza limiti e senza confini.

Nel 2019 si è cimentato anche nella professione di regista portando sul grande schermo uno dei suoi fumetti più amati “5 il numero perfetto”. Un film in cui hanno recitato attori del calibro di Valeria Golino e Toni Servillo.

Le sue storie sono state tradotte in tutto il mondo e Igort che ama definirsi “un architetto che traccia ponti” è stato il primo occidentale a lavorare nell’industria del manga giapponese.

Fino al 10 settembre si tiene a Palazzo Blu a Pisa l’esposizione “Igort. Attraversare le forme” che tenta di raccontare 45 anni di attività e creatività di un artista che è riuscito a spaziare sia geograficamente che stilisticamente attraversando molteplici generi letterari.

Quaderni giapponesi

Ecco la nostra intervista a IGORT

Vorrei partire proprio dal Giappone, lei ha spesso raccontato quanto siano diverse le modalità lavorative rispetto all’Occidente. Situazioni al limite della tortura fisica…

Sì è il loro sistema di produzione, non è che lo facevano con me per essere crudeli. Loro lo fanno con se stessi, è una macchina di creazione di storie disegnate formidabile, è la seconda industria nel mondo e quindi richiede una grande quantità di materiali per nutrire questo grande consumo. Il rapporto con me è stato un po’ speciale perchè io li avevo convinti che ero stato giapponese in un’altra vita e loro mi hanno trattato da Giapponese. È leggendaria la storia che per entrare nello studio di Go Nagai, uno dei massimi padri del manga, bisogna disegnare tre giorni e tre notti di seguito. Puoi mangiare ma se ti addormenti al tavolo non verrai assunto. Quello che facevano con me faceva parte della loro tradizione e della loro devozione al lavoro, molto semplicemente.

Il fumetto anche più di altri linguaggi e media è cambiato e si è evoluto molto negli ultimi anni. Viviamo nell’epoca delle serie tv, di cui sembra ormai che non possiamo più fare a meno. Questo ha influito anche nel fumetto?

Penso di sì e spero che influisca, perché il fumetto si deve nutrire di qualunque altra suggestione provenga dagli altri media e anche dalla vita di tutti i giorni. Per me le serie tv sono la forma aggiornata e contemporanea del “feuilleton”. Alla fine dell’ottocento c’erano questi racconti a puntate nei giornali scritti da Victor Hugo, Alexandre Dumas e altri grandi narratori. Questo tipo di narrazione a puntate adesso ha una nuova applicazione che è quella delle serie televisive, molte delle quali, essendoci un’enorme produzione, sono fatte secondo me molto bene e per me è interessante e affascinante. Quando scrivo penso al fatto che sono ormai assodate alcune tecniche di narrazione molto evolute, perché lo spettatore è ormai abituato. A me sembra questa una stagione molto felice in cui attraverso la rete è possibile interagire e avere delle informazioni in tempo reale, nella composizione dei Quaderni giapponesi spesso pubblico delle cose che sto facendo e i miei follower mi suggeriscono libri sull’argomento per approfondire. Il mio ormai è un lavoro in cui lo studio è aperto. Un tempo l’autore era isolato nella sua gabbia dorata e disegnava tutti i giorni sperando che il pubblico potesse apprezzare le cose che faceva. Oggi tramite la rete ci sono anche gli eccessi in cui ti insultano in diretta mentre stai lavorando. Ma al di là di questo è molto affascinante lo scambio che si può avere.

a volte una scatola può essere anche l’occasione per inventarsi delle nuove soluzioni. La libertà è dovuta molto alla propria testa, ci sono dei limiti che ci poniamo da soli senza rendercene conto

Come mai l’essere umano ha così bisogno delle storie?

Dall’alba dei tempi è sempre stato così, l’essere umano ha bisogno di racconti e di disegni. Dai graffiti rupestri all’Odissea è sempre stata presente la voglia e la necessità di raccontarsi e raccontare. Io penso che sia fisiologico, come respirare, fa parte della natura, è una cosa bella. Il racconto e le immagini hanno cambiato la mia vita e io sono molto felice di aver avuto questo incontro sin da bambino. A sei anni io sapevo già cosa volevo fare: volevo raccontare con le immagini. 

Lei è diventato direttore di Linus in un momento in cui la rivista era in una grandissima crisi, rischiava di chiudere. Com’è riuscito a trasformarlo e salvarlo?

È stata un’esperienza che mi faceva tremare le ginocchia perché io ho debuttato su Linus che è una rivista sacra oltre ad essere la prima antologia di strisce mai creata nel mondo. È stato molto bello, è servita tutta la forza di cui disponevo per cercare di superare la paura di come mettersi a modificare o rinnovare una rivista così importante. Poi mese dopo mese non ci pensi neanche più, per la routine della composizione dei numeri, la complessità che richiede. È un lavoro molto articolato quello che cerchiamo di fare: attraverso le “icone” vogliamo raccontare il presente, tramite i fabbricanti di universi che sono gli architetti della nostra mente, per dirla come Salinger. Cerchiamo di capire chi ha lasciato qualcosa, chi la lascerà, o anche occuparci di casi di casi politici mettendo in copertina Patrick Zaki o Zelensky. Cerchiamo di riflettere anche su questo tipo di aspetto però di solito indaghiamo il sogno. L’idea è che attraverso il sogno, noi possiamo raccontare la contemporaneità, la nostra epoca, il nostro tempo.

Negli anni ’70 in Italia il fumetto era anche veicolo di idee e posizioni politiche, penso a Pazienza per esempio, oggi non è più così, oppure no?

L’epoca contemporanea è completamente diversa, siamo in una stagione differente e anche la percezione del reale è differente, adesso viviamo in un villaggio globale. Negli anni ’70 Pazienza con Penthotalil fumetto più politico che ha fatto, raccontava le storie degli studenti fuori sede a Bologna. Poi Andrea divenne meno politico e più generazionale con Zanardi, ritratto di una gioventù liceale, spietata. C’era negli anni ’70 la fantasia al potere, il fantastico, la rivalutazione dei generi contro il razzismo culturale.

E oggi?

I due filoni che dall’Ottocento in poi reggono tutt’oggi l’immaginario contemporaneo sono il noir e il fantastico, nei film, oppure nelle storie di invenzione. Basti pensare ai supereroi che spopolano al cinema, sono quelli i blockbuster più grossi. Oggi credo il fumetto possa raccontare la contemporaneità solo che adesso il rischio per i nuovi autori è quello di essere troppo ombelicali, guardare soltanto il loro punto di vista e non riuscire ad avere uno sguardo prospettico. Però è più facile pubblicare di un tempo, confrontarsi col pubblico e quindi crescere, questo per me era un sogno. Alla fine degli anni ’70 ero uno studente morto di fame e insieme ad altri amici e fumettisti in erba comprammo una macchina da stampa offset per cercare di pubblicare una rivista. Adesso volendo si può pubblicare sulla rete in tempo reale e avere subito un feedback, è un’occasione meravigliosa per potersi misurare con gli altri.

Come editore per Coconino Press e Oblomov Edizioni come sceglie chi pubblicare?

È abbastanza semplice se dopo aver letto un libro la notte non dormo, vuol dire che l’autore è buono. Un sistema molto pratico (ride).

Che cos’è per lei la libertà? L’artista oggi è libero anche nella società dei selfie, dei social e dell’apparire?

Non penso che l’artista sia libero e non penso neanche che sia una grande esigenza quella di essere liberi artisticamente, nella vita ovviamente è indispensabile. Se guardo agli autori che io ho amato moltissimo come Magnus o Moebius, erano persone che lavoravano anche per l’industria e facevano personaggi che dovevano avere delle caratteristiche molto precise, per esempio anche Giraud con Blueberry. Attraverso questo sono riusciti a fare dei capolavori assoluti. Credo molto nella dinamica interna, a volte una scatola può essere anche l’occasione per inventarsi delle nuove soluzioni. La libertà è dovuta molto alla propria testa, ci sono dei limiti che ci poniamo da soli senza rendercene conto. Io credo che quando si lavora sia necessario misurarsi il più possibile con la propria sincerità.

IGORT a Palazzo Blu, Pisa

 

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