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Al Santa Maria Nuova il paziente ‘zero’ della Toscana. Il racconto del direttore del pronto soccorso

Era il 24 febbraio 2020 e all'ospedale fiorentino si presentò un imprenditore sulla sessantina con chiari sintomi Covid. Ma un anno fa non fu subito chiaro. Servirono due tamponi. Ripercorriamo quelle ore, quei giorni e i mesi che si sono susseguiti da quel momento in poi con il dottore Michele Lanigra

Triage Santa Maria Nuova - © Met

“Eravamo preparati al fatto che anche in Toscana potesse arrivare qualche paziente positivo, avevamo fatto riunioni, creato percorsi diversificati per l’eccesso al pronto soccorso però sembrava ancora una cosa lontana da noi”. Il Covid invece era arrivato. 

Era il 24 febbraio 2020 e al Santa Maria Nuova di Firenze si presentò il paziente zero della Toscana . La notizia rimbalzò in poco tempo su tutti i giornali. Si trattava di un imprenditore sulla sessantina, aveva delle attività in Oriente ed era rientrato da due mesi da Singapore. Troupe televisive locali stanziarono per giorni fuori dal triage del nosocomio fiorentino. Dentro, tra le corsie e nei reparti, insieme alla conferma della positività del secondo tampone giunto a tarda serata arrivò anche la certezza che il Covid correva e si stava avvicinando, anzi, era già arrivato.

Con il dottor Michele Lanigra, direttore del pronto soccorso del Santa Maria Nuova, ripercorriamo quelle ore, quei giorni e i mesi che si sono susseguiti da quel momento in poi, tra timori e speranze.

Dottore eravate pronti a gestire il Covid internamente?
“All’interno del pronto soccorso avevamo individuato spazi e sale dove poter isolare eventuali pazienti positivi. In realtà però quel primo paziente non fu immediatamente catalogato come possibile Covid. All’epoca si rintracciavano collegamenti con la Cina e il paziente era stato in Oriente ma a Singapore, tra l’altro oltre due mesi prima. Allargando un po’ l’indagine epidemiologica, scoprendo che aveva avuto dei contatti con la Lombardia dove la situazione si era fatta più critica, ci venne il sospetto e decidemmo di sottoporlo al tampone. Il primo tampone risultò positivo, ne facemmo un secondo per ulteriore verifica, positivo anche quello. A quel punto non c’erano più dubbi e il paziente fu immediatamente isolato e trasferito d’urgenza nel reparto di malattie infettive a Ponte a Niccheri”.

Cosa accade poi?
“Da quel momento fu un’escalation anche immediata .Chiudemmo il pronto soccorso per sanificarlo e scattò subito l’indagine epidemiologica per risalire ai contatti dei sanitari con il paziente. Solo a notte fonda, dopo circa tre ore di chiusura di tutta la struttura, riaprimmo il pronto soccorso in sicurezza. Fu però solo l’inizio, il giorno dopo si presentò il secondo paziente, uno studente norvegese e di lì a cascata”.

È stato difficile riorganizzare il pronto soccorso per gestire l’emergenza?
“Riadattare un reparto non è cosa che si fa in un minuto. Dovevamo sempre essere pronti a rimodularlo in base alle necessità del momento senza però intaccare la funzionalità del reparto. Abbiamo cercato di giocare d’anticipo, anche mentalmente, e forse è stata proprio questa mentalità che ha permesso anche ad un ospedale cittadino come il nostro di reggere il colpo”.

La dimensione “cittadina” del Santa Maria ha impattato nella gestione dell’emergenza?
“Sicuramente certe cose, come trasformare un reparto in reparto Covid, se non per la spinta dell’emergenza avrebbero richiesto tempi più lunghi e procedure più complesse. La mentalità che tutti condividevamo e il sostegno dell’azienda regionale ci hanno hanno permesso di semplificare i processi per rendere l’ospedale il più efficiente possibile. Il Santa Maria Nuova è un ospedale piccolo e temevamo che nonostante tutti gli sforzi arrivati ad un certo punto non avremmo più retto, invece così non è stato, la collaborazione fra di noi è stato il valore aggiunto. Una collaborazione che è andata al di là di ogni aspettativa: nessuno si è mai tirato indietro, medici, infermieri, operatori sanitari, nessuno si è mai risparmiato, restavano anche oltre l’orario lavorativo, già di per se massacrante, per dare una mano a spostare mobili, suppellettili o elettromedicali. Sono stati tutti eccezionali. Ovviamente siamo stati anche fortunati..”

Fortunati in che senso?
“Nel senso che in Toscana l’ondata è arrivata più lentamente che altrove, pensiamo al Nord Italia. Questo ci ha permesso di fare tesoro delle esperienze altrui per massimizzare l’impegno e gli sforzi. Inoltre, per quanto riguarda il Santa Maria Nuova, ci riteniamo fortunati anche perché nessuno dei sanitari del pronto soccorso si è ammalato, abbiamo avuto solo un caso Covid tra i dipendenti, e questo ci ha permesso di non dover fare i conti con problemi d’organico.

C’è un momento di questo anno che ricorda con particolare gioia?
“Inizio estate, quando sembrava che tutto stesse finendo, con i colleghi ci guardavamo e ripercorrendo con la memoria i mesi precedenti ci condividevamo la bella sensazione di aver lavorato bene, era stata dura ma avevamo dato il massimo per contribuire a quel successo di tutto il Paese. Purtroppo è durata poco .

È trascorso un anno da quel paziente 0 per la Toscana, sperava che oggi saremmo stati in una situazione diversa?
“Mi sembra passato un secondo per tutto ciò che abbiamo fatto: tante cose le abbiamo capite, oggi siamo sicuramente più pronti ad affrontare l’emergenza. Il problema però è che i casi fuori aumentano. Non dovremmo avere 22 mila nuovi contagiati al giorno. Ecco, sinceramente un anno fa non mi sarei mai aspettato che a distanza di un anno avremmo avuto ancora questi accessi al giorno quando eravamo riusciti a ridurli anche del 50%.

L’arma sono i vaccini?
“Dobbiamo accelerare sui vaccini. Ne devono arrivare molti ma molti di più e dobbiamo somministrarli in modo capillare, diffuso. Questo deve essere il nostro primo obiettivo”.

La sanità pubblica è qualcosa di prezioso da curare, da mantenere, da trattare bene, irrinunciabile

Professore parlando di sanità pubblica, l’Italia cosa dovrebbe aver imparato da questa esperienza?
A non dare per scontato il valore della sanità pubblica. Dobbiamo essere orgogliosi dei nostri medici, infermieri, operatori sanitari, dobbiamo metterli nella condizione di fare bene il proprio lavoro. Perché a noi questo interessa: fare il nostro lavoro. Non mi ha mai entusiasmato molto la definizione “eroi”, noi questo lavoro lo abbiamo sempre fatto anche prima del Covid perché le malattie infettive sono sempre esistite, magari non con questi numeri ma ci siamo sempre stati.

È fiducioso, si vede davvero la luce in fondo al tunnel?
L’emergenza possiamo gestirla, se riusciamo a governare gli ospedali e se saremo bravi con la campagna di vaccinazione, io sono fiducioso che le cose miglioreranno presto.

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