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La delusione del medico in trincea: “Reparti di nuovo pieni, manca il rispetto”

Il direttore del Dipartimento emergenza urgenza dell’Asl sud est racconta questi mesi di pandemia. Anche lui contagiato: “Aspettavo il numero dei medici morti nel bollettino delle 18 e mi chiedevo, chissà quando toccherà a me”

Operatori sanitari

Tutti, meno che io. Il Covid? Non prenderà certo me. “Ci sentiamo come Nembo Kid, tutti con l’eroe in sé, e dopo un anno ancora non abbiamo capito che non  è così che funziona. Manca il rispetto, per se stessi e per gli altri. E non sono solo i negazionisti, i bastian contrari ci saranno sempre, è che diamo tutto per scontato, quando così non lo è”. Il dottor Massimo  Mandò è il direttore del Dipartimento emergenza urgenza dell’Asl sud Est della Toscana e l’anno scorso era tra pronto soccorso e ambulanze a vedere aumentare, fino ad esplodere, la pandemia.

E’ stato quasi subito contagiato: lo ha scoperto il 13 marzo 2020. “Ricordo che guardavo il bollettino delle 18, ero solo in casa. Mia moglie era in ospedale e ci è rimasta per 10 giorni di cui 5 attaccata all’ossigeno. Ascoltavo la conta dei medici morti e mi chiedevo: quando toccherà anche a me”. E’ ritornato in corsia il prima possibile “ma sono cambiato. E’ una malattia terribile, se hai sintomi ti schiaccia e ti cambia anche la testa. Io mi definivo un orso, ora mi sento molto più emotivo ed empatico”. La chiama “la malattia della solitudine. Sei solo in una stanza, un letto e una tv”. Prima colpisce il corpo, poi ti prende la mente.

Cosa è cambiato e cosa invece (purtroppo) no

Oggi l’organizzazione sanitaria è come una macchina collaudata e i protocolli ormai si conoscono a menadito, ma è l’unica differenza rispetto a un anno fa: i reparti sono tornati pieni, come le terapie intensive e le malattie infettive, e i contagi salgono come i morti. Dal primo lockdown, spiazzante,  a quello di questo ore, snervante.

“L’anno scorso la pandemia ci ha colpito come una tranvata in faccia – ricorda il dottore – E’ stata  la settimana più strana e più brutta che ricordi, che non vorrei mai rivivere. In quei giorni c’era chi minimizzava, anche tra i medici. Poi parlavano in troppi e tutti dicevano cose diverse. S’era come smarriti. I dispositivi di protezione poi scarseggiavano, mica come ora”. Tutto all’improvviso accelera e “fu come un fulmine a ciel sereno”.

Come i terremoti, arriva l’assestamento e poi la reazione. Il Covid è un terremoto continuo con scosse sempre più forti. “A marzo 2020 i protocolli erano ancora molto approssimativi, i risultati dei tamponi ci mettevano molto tempo ad arrivare. Poi, dobbiamo dirlo,  abbiamo reagito bene e  il sistema sanitario regionale ha subito risposto con intuizioni anche positive che non ci hanno fatto vedere quelle file di ambulanze davanti agli ospedali”.

Come il potenziamento immediato della medicina del territorio, con automediche dotate di macchinari in grado di fare pronte diagnosi e consentire gli accessi diretti ai reparti senza passare dai pronti soccorso, oppure avere pazienti curati il più possibile a casa. “Abbiamo anche dei braccialetti che monitorano a distanza il paziente, hanno funzionato e funzionano bene. In tanti ci ringraziano perché così non si sentono soli”. Pensa a quella signora di Grosseto, da sola con una bimba di due anni. Oppure, ricorda ridendo,  a quel signore con il braccialetto forse messo male che mandava continui segnali alla centrale e all’ennesima chiamata di controllo, ha risposto: “Ragazzi, io vi ringrazio e vi voglio bene, ma mi fate dormire almeno due ore”.

L’ investimento per il futuro è la medicina del territorio

Sono passati 12 mesi e siamo miseramente  al punto di partenza, come rinchiusi in una  spirale che ci spinge verso il basso. “La delusione è il sentimento prevalente oggi – ammette il dottore Mandò –  Delusione nel vedere le persone che non rispettano le regole”.

Da un anno non c’è mai stata tregua, mai uno stop. “Oggi siamo tornai alla brutta situazione di novembre. Noi medici siamo vaccinati tutti, siamo più tranquilli, certo, ma c’è tanta, tanta stanchezza. Il virus si combatte, ma non si vince, probabilmente dovremo vaccinarci tutti gli anni e se lo facciamo abbiamo la possibilità di passare periodi migliori”. Il lato positivo è che il sistema regionale regge anche sotto questo stress: “Mi sento di dire che i cittadini toscani possono essere orgogliosi del loro sistema sanitario, degli operatori e di tutti i sanitari che lavorano e credono nel sistema pubblico. Abbiamo investito tanto ed è stato vincente. Dobbiamo continuare a farlo, soprattutto sulla medicina del territorio”.

E se c’è un errore grande come una casa da non fare più, tra i milioni che commettiamo oggi giorno, il direttore sottolinea questo: “Mai sottovalutare le cose nuove, non facciamolo più. Perché, e questo è sicuro, ne arriveranno di altre”.

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