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“La storia di un giocatore morto nel lager per generosità”

Il commosso ricordo di Carlo Castellani, deportato a Mauthausen, in occasione della posa della Pietra d’inciampo davanti alla sua casa natale a Fibbiana

La Pietra d’Inciampo in memoria di Carlo Castellani a Montelupo

Questa è la storia di un giocatore, di un uomo finito per caso e per generosità in un campo di concentramento. Doveva essere mio nonno al suo posto, loro lo presero comunque e sapevano benissimo dove andava“. Queste le parole oggi di Franco Castellani, figlio dell’attaccante Carlo, morto a 35 anni l’11 agosto 1944 nel sotto campo Gusen dopo essere stato deportato a Mauthausen.

Franco Castellani è intervenuto alla cerimonia a Fibbiana, frazione di Montelupo Fiorentino (Firenze), paese natale della sua famiglia, per l’inaugurazione della pietra di inciampo intitolata a Carlo Castellani davanti alla casa dove vivevano e dove il calciatore fu portato via, con l’inganno, la notte dell’8 marzo 1944. Dopo quella per Castellani il Comune di Montelupo procederà con la posa di altre pietre di inciampo.

Quella del calciatore, che giocò per l’Empoli, il Livorno e Viareggio, “è la storia di uno che non c’entrava nulla e che non aveva fatto niente da poter finire nei campi di concentramento“, ha detto il figlio che proprio davanti all’abitazione dove è stata apposta la pietra d’inciampo vide per l’ultima volta suo padre.

La Pietra d’Inciampo in memoria di Carlo Castellani a Montelupo

In tutto erano 21 quelli che furono potati via, 16 non tornarono più. Fra loro c’era mio padre, che è morto senza essere previsto: nella lista che avevano repubblichini e carabinieri c’era il nome di mio nonno, David, che quell’8 marzo era a letto con la febbre. Pensando di essere tranquillo e di non avere nulla da temere si offrì mio padre al suo posto, rassicurato anche dalla guardia comunale, Orazio Nardini che gli disse che la mattinata successiva sarebbe tornato a casa. Mio padre tornò indietro, salutò mia madre dicendole ‘ci vediamo presto’ e mi diede un pizzicotto, dicendomi di fare il bravo” il ricordo commosso del figlio.

Fu così che cominciò il suo viaggio verso l’orrore dei campi, ancora nel racconto del figlio: “Venne caricato su un camion pieno di gente” rastrellata e portato poi prima in caserma a Montelupo e alla stazione di Firenze dove fu stipato, insieme a un’altra sessantina di persone su un “cassone” di un treno. “Dopo 3 giorni, senza mangiare né bere” l’arrivo a Mauthausen” e poi, trascorsi altri 2 giorni il trasferimento, con Aldo Rovai “al sotto campo di Gusen. Lì lavoravano a diritto, il pasto consisteva in una brodaglia che ricordava il caffè latte, un tozzo di pane, un po’ di margarina o di salame. Dopo 3 mesi mio padre si ammalò di dissenteria, dimagriva a vista d’occhio. Il giorno prima che morisse Rovai andò a trovarlo, mio padre gli disse che stava male, ma non era agonizzante. L’indomani Rovai tornò nella baracca e gli dissero che Carlo Castellani non c’era più, era già stato cremato“.

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