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Matteo Betti, la sfida del campione a colpi di fioretto contro la disabilità

Il libro “Un tiro mancino” scritto dalla giornalista Giovanna Romano racconta la storia dell’atleta senese di scherma paralimpica

Matteo-Betti-Podio

In pedana e nella vita è abituato ad abbattere i tabù sulla disabilità a colpi di spada e di fioretto. Matteo Betti, 36 anni, senese della contrada del Nicchio è un veterano dei Giochi Paralimpici. Uno sportivo che non si è arreso davanti alle avversità e oggi è l’emblema di uno sport tutto impegno e tenacia. Un’emorragia cerebrale alla nascita gli ha causato un’emiparesi alla parte destra del corpo.

Da qui è partita la sua avventura nel mondo dello sport prima come attività riabilitativa e poi come una passione da assecondare e da condividere con l’assidua presenza nelle scuole per raccontare la sua esperienza e incoraggiare i giovani diversamente abili a uscire di casa per andare ad allenarsi. Un’esperienza raccontata nel libro “Un tiro mancino. Matteo Betti. Storia del campione di scherma paralimpica“, scritto dalla giornalista Giovanna Romano.

Matteo, figlio di un tassista e di una giovane svizzera arrivata a Siena, ha cominciato a tirare di scherma a 5 anni e mezzo, ha gareggiato sulle pedane in piedi fino a 19 anni poi la svolta. Oggi è un veterano della Nazionale Italiana di scherma paralimpica ed è salito sulla pedana di Tokyo 2020 per la sua quarta paralimpiade: ci è salito da vice campione del mondo in carica, con il 23esimo titolo italiano. In Giappone ha sfiorato il podio con il quarto posto nell’individuale di fioretto segnando il miglior risultato della scherma paralimpica maschile e il secondo risultato individuale dell’intera squadra italiana.  Uno sportivo esemplare nominato Ambasciatore Paralimpico per meriti.

Matteo Betti – il campione di scherma alla Coppa del Mondo in Germania

Decisivo l’incontro con un tecnico e la scelta di cimentarsi nella scherma paralimpica o in carrozzina. Attività che gli ha aperto il mondo della scherma olimpica. “Tanti ragazzi come me lo percepiscono come un passo indietro perché fanno tanto lavoro per mettersi in piedi e poi non vogliono rimettersi in carrozzina. Io l’ho sempre percepita come uno strumento: finito l’assalto mi rialzo e la lascio lì, così come faccio con la maschera o il fioretto” racconta Matteo.

Per lui la scherma paralimpica è stata la svolta. “Finalmente avevo obiettivi in linea con le mie capacità fisiche. Fino a quel momento ero stato svantaggiato sulle pedane olimpiche a causa della mia mancata coordinazione tra il lato sinistro e quello destro. Non ero riuscito a partecipare ai campionati assoluti. Ma una volta in carrozzina ho deciso di continuare per fare sport di eccellenza” prosegue. E i risultati sono subito cominciati ad arrivare.

L’email ricevuta da una bambina emiplegica che si era appassionata alla storia di Matteo in occasione della sua prima Paralimpiade a Pechino lo ha spinto a dedicarsi agli incontri con gli studenti a scuola. “Le medaglie sono un mezzo per un fine più grande, che è quello di appassionare tanti ragazzi con disabilità allo sport e convincerli a uscire di casa” puntualizza Matteo.

Credo che lo sport sia uno strumento efficace per far conoscere la disabilità ai ragazzi delle scuole medie e superiori. È un momento importante nella crescita di un individuo perché i ragazzi imparano l’accessibilità e da adulti si comportano di conseguenza” assicura. Quando è in classe con i ragazzi della scuola “si lavora sull’abbattimento dei tabù sulla disabilità” conclude.

Il libro “Un tiro mancino”

Queste e altre esperienze di vita dell’atleta sono raccontate nel libro scritto dalla giornalista Giovanna Romano. “Con Matteo ci siamo conosciuti a un convegno del Coni -racconta Giovanna – e per me è come un fratello“. Quando all’editore Luca Betti è venuta l’idea di realizzare un libro sulla storia di Matteo è stato subito chiaro che Romano era la persona giusta per scriverlo. “Ho avuto la delicatezza di fare le domande giuste e grazie al rapporto di confidenza Matteo si è aperto totalmente” ricorda.

La giornalista ha poi intervistato venti persone tra le più importanti della vita di Matteo che arricchiscono il racconto fornendo prospettive personali ed emozionanti: da Margherita Zalaffi ai compagni della nazionale come Marco Cima e Andrea Pellegrini, dalla famiglia, ai compagni di scuola e di lavoro, agli allenatori fino al presidente del CIP Luca Pancalli che ha curato l’introduzione del libro. La prefazione è a firma di Carlo Paris, già direttore di Rai Sport, il primo a portare un atleta disabile alla conduzione della Domenica Sportiva.

Il ricavato della vendita del libro contribuirà al progetto Sport Shuttle – Campioni in movimento per l’acquisto di un pulmino attrezzato che consentirà alle società sportive paralimpiche senesi di portare i loro atleti agli allenamenti e in trasferta.

La presentazione del libro “Un tiro mancino” – © Raffaella Galamini

Il libro ‘Un tiro mancino‘ è stato presentato in Sala Pegaso di Palazzo Strozzi Sacrati. Alla presentazione, moderata da Sandro Vannini direttore di Toscananotizie, erano presenti l’autrice, la giornalista Giovanna Romano, l’editore Luca Betti e il presidente dell’Unione Stampa Sportiva Toscana Franco Morabito.

La storia di Matteo Betti è un insegnamento per tutti ed ha un valore universale. La vita a volte ci gioca brutti scherzi ma Matteo dimostra che per quanto difficile possa essere la vita, l’uomo può andare più in là e attingere a una sua risorsa più grande, a un mistero più grande che sono più forti dello scoraggiamento e della malattia – ha concluso il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani -. E’ grazie a questo che alla vita si può assestare per l’appunto un tiro mancino. Ringrazio perciò Matteo per la testimonianza che ci ha dato e che ci dà ogni giorno, come sportivo innanzitutto, che ha fatto onore all’Italia e alla Toscana, e come uomo che poteva avere una vita semplice e l’ha invece resa straordinaria”.

 

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