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L’export spinge l’economia toscana. Giani: “Segnali incoraggianti. Per l’occupazione serve più tempo”

Anche l’assessore regionale Leonardo Marras ha commentato il rapporto. “Da subito sostenere la propensione all’export, per recuperare terreno proprio nei settori della produzione maggiormente colpiti”

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Ci vorranno ancora alcuni mesi prima che tornino a salire con costanza i dati sull’andamento dell’economia in Toscana. Ma già nella prima fase di quest’anno i segnali di una sua ripresa ci sono tutti.

“Se si risolvesse del tutto il problema sanitario, che è la variabile più difficilmente controllabile, secondo le nostre previsioni nell’ultima parte del 2023 potremmo tornare ai livelli del 2019” commenta Nicola Sciclone, da poco nominato direttore dell’Irpet, l’Istituto regionale di programmazione economica. La strada però sembra in discesa, l’export toscano decolla a +14% come Lombardia, Emilia Romagna e Veneto.

Un ottimo risultato, secondo gli analisti dell’Irpet, se si pensa che a causa della pandemia le ferite sul fronte della produzione sono ancora aperte. Basta osservare i numeri: la Toscana, nel corso del 2020, ha perso per strada 10/11 punti percentuali di Prodotto interno lordo. “Sono molto contento dei  dati che arrivano dall’analisi economica e che riguardano già il primo trimestre – commenta il presidente della Toscana, Eugenio Giani -. Sul piano della produzione ci sono segnali molto forti di ripresa, superiori in alcuni casi (e di parecchio) anche al resto d’Italia. Sono segnali incoraggianti. Certo non valgono per tutti: ci sono settori ancora in ritardo ed altri, come la moda, che hanno potenzialità di ripresa al momento inespresse. Ma se il trend si dimostrerà stabile, alla fine si rifletterà anche sul fronte dell’occupazione”.

In sintesi  – come sottolinea l’Irpet nella sua ultima nota congiunturale di luglio 2021 – cresce la domanda internazionale ma appare ancora debole quella interna. Ci sono dei comparti, come quello della moda – da sempre uno dei pezzi forti della produzione toscana – che continuano a soffrire, come il settore dei tessuti e dei filati manca ancora un quarto della produzione che aveva prima della crisi innescata dall’emergenza sanitaria e dalle restrizioni che ne sono conseguite.

Il segno meno accompagna anche il settore del cuoio e della pelletteria (rispetto almeno al 2019, – 11 per cento) e, tra i più rilevanti, i prodotti in legno (- 15%), la carta e stampa (-9.9%) e i minerali non energetici (-22 per cento). Anche per questo ad aprile, rispetto allo stesso mese del 2019 (prima dell’arrivo del Covid19), la Toscana sconta ancora un ritardo del 4,8 per cento sulla produzione industriale. Quindi, se la moda deve in parte recuperare, per fortuna tutti gli altri hanno recuperato i dati ante pandemia. Anzi, la produzione di apparecchi elettronici, elettrici, ottici e computer ha fatto un balzo in avanti del 14%.

Molto incoraggiante l’export nel suo complesso: le vendite toscane nel primo trimestre 2021, rispetto agli stessi tre mesi del 2020, sono cresciute di più della media italiana (del 14,2 per cento contro il 6,1). La Toscana è la regione con la performance migliore da questo punto di vista. Ma cresce – del 5,87 per cento – anche rispetto ai valori pre-crisi del primo trimestre 2019.

Incoraggiato dai dati Irpet anche l’assessore all’economia della Toscana, Leonardo Marras“C’è sollievo nel constatare un trend migliore dello scenario che era stato previsto, sebbene – commenta – ancora sia presto per trarre conclusioni e la preoccupazione di uno strappo sociale sul fronte del lavoro è ancora presente”. “È importante –  aggiunge – da subito sostenere la propensione all’export, per recuperare terreno proprio nei settori della produzione maggiormente colpiti. Pensiero a parte vale per il turismo, dove dobbiamo attendere che riaprano i flussi dalle provenienze più lontane”.

Come detto, i dati macroeconomici lasciano ben sperare. In questo quadro la crescita dell’occupazione è meno veloce. Anche in questo caso sono i numeri dello studio Irpet a sottolinearlo: a marzo 2021 mancano  -rispetto al 2019 – 67mila avviamenti (-26%) e 11mila addetti alle dipendenze (-1%). In particolare la flessione è forte nei servizi turistici (-14,8 per cento sul 2019 e -7,4 per cento sul 2020), nei settori finanziari, il commercio al dettaglio e l’insieme del made in Italy.

Da aprile 2020 a maggio 2021 le ore di cassa integrazione guadagni autorizzate in Toscana (solo quelle per l’emergenza sanitaria), ammontano a 356 milioni. Una crescita senza precedenti. Se si pensa che dal 2009, primo anno della grande crisi economico-finanziaria arrivata dall’America, al 2014 ne erano state autorizzate ‘solo’ 308 milioni. Una luce in fondo al tunnel però si vede: il monte ore di aprile e maggio di tutti i settori è inferiore, con la sola eccezione dei settori di alloggio, ristorazione e commercio: si tratta complessivamente di 18 milioni di ore in meno di ricorso alla cassa integrazione, pari ad una flessione del 16 per cento.

Il problema dell’occupazione non è solo toscano, se si pensa ai tanti tavoli di crisi aperti al Ministero dello Sviluppo Economico. Nella nostra regione ora a tenere banco è la crisi della Gkn, di proprietà di un fondo inglese, il quale con una semplice mail ha mandato a casa 422 dipendenti. La Regione è impegnata in prima fila per scongiurare questo esito, che per la multinazionale Melrose – proprietaria dello stabilimento di Campi Bisenzio . è già scritto.  Chi non la pensa così è il presidente Giani e il suo consigliere delegato alla gestione delle crisi aziendali, Valerio Fabiani. “Sono una quindicina – precisa Giani – come Regione le stiamo tutte seguendo nella loro evoluzione”.  Poi l’annuncio che riguarda un segmento dell’universo della formazione e istruzione: “Amplieremo gli Its (gli istituti tecnici superiori, che si possono frequentare dopo le scuole superiori in alternativa all’università ndr). Hanno dati ottimi risultati sul fronte della veloce occupazione degli studenti e ci investiremo”.

In conclusione, generalmente a farne le spese di questa crisi sono, in particolare, le donne, le giovani generazioni e gli stranieri. I nuovi posti di lavoro che si creano sono in buona parte con contratti non strutturati e atipici.

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