© Sheila Niccolai per Fondazione Sistema Toscana

Enogastronomia /Il ritorno al passato

Stefano Pazzagli: coltivo i miei campi, come cinquant’anni fa

Vita contadina, d’altri tempi. L’agricoltore di Suvereto gestisce da solo la sua azienda di 28 ettari. “La mattina mi sveglio alle 5, fatico tanto ma sono felice”

Non parlategli di tecnologia o di innovazione, il suo vocabolario e la sua vita non contemplano questi termini. Stefano ha quasi sessant’anni ma per lui il tempo – almeno quello da vivere nei campi – si è fermato a mezzo secolo fa. I ritmi sono quelli di una volta, quando il lavoro si faceva a mano o con qualche macchina d’altri tempi che nella sua azienda fa ancora il suo dovere.

Si chiamava civiltà contadina. Bello riscoprirla in un pomeriggio caldo d’agosto, seduti intorno ad un vecchio tavolo, sotto un pergolato

Siamo a  Cancellini, su una collina di Suvereto. Lo sguardo spazia tra vigne, olivi, boschi, distese di farro, frumento, avena. Ed è qui che – accompagnati dal pastore belga Lampo – Stefano Pazzagli mi racconta la sua storia, quella di uomo che non si rassegna ai ritmi vertiginosi della vita moderna, alla frenesia del tutto e subito, all’individualismo sfrenato. Meglio fermarsi a quel modo di vivere percepito da piccolo, quando c’era armonia tra l’uomo, la natura, le persone. Si chiamava civiltà contadina. Bello riscoprirla in un pomeriggio caldo d’agosto, seduti intorno ad un vecchio tavolo, sotto un pergolato.

Stefano prepara una merenda, gli ospiti in campagna si accolgono così. Pane e prosciutto, una bottiglia del suo vino, acqua fresca.

“Questa è la mia merenda di ogni giorno – racconta. Mangio tantissimo perché lavoro molte ore. Vedi il bosco là in fondo – mi dice indicando un’intera collina. Ecco i miei terreni arrivano fin lì. Sono 28 ettari. Gestisco tutta l’azienda  da solo, mi alzo tutte le mattine alle cinque, mi prendo un bel caffè e poi accudisco gli animali. Dopo torno a casa e faccio colazione, proprio seguendo il rituale di mio nonno. Mi metto al tavolino e mi dedico una mezz’ora, quarantacinque minuti di tempo e poi di nuovo mi metto al lavoro nei miei campi, che adoro”.

Stefano Pazzagli, la sua storia d'altri tempi
L’agricoltore di Suvereto che coltiva i suoi terreni come faceva il nonno, cinquant’anni fa

Stefano mi spiega che i terreni qua sono tutti in pendenza e abbastanza sassosi, dunque la fatica è doppia. E poi ci vuole attenzione perché –  per evitare gli ormai conosciuti fenomeni di erosione  – il terreno deve essere costantemente curato, anche per garantire una buona tenuta idrogeologica. E qui entra in ballo il ruolo dei contadini per la cura del territorio. Sono loro  i custodi del paesaggio ma anche dell’ambiente.

“Non siamo mai ricorsi all’impiego di concimi chimici. Io reimpiego il letame di stalla e poi adotto le rotazioni agrarie, come si faceva un tempo, alternando cereali e foraggi. Da qualche anno coltivo anche il farro, sono stato il primo in questa zona” – mi ricorda Stefano che semina sì, ma produce e trasforma anche la pasta.

C’era un’atmosfera speciale in campagna nei giorni della vendemmia e della trebbiatura, ci si dava tutti una mano e poi si faceva festa insieme

Mi sorride mentre passa la mano sul cappello di paglia che lo protegge da sole nelle ore più calde della giornata. Mi porta nel capannone a vedere il suo gioiello: una trebbiatrice degli anni Cinquanta. “Era di mio nonno e funziona ancora. C’era un’atmosfera speciale in campagna nei giorni della vendemmia e della trebbiatura, ci si dava tutti una mano e poi si faceva festa insieme. Io voglio recuperare quel sentimento, quell’atmosfera. ”.

Il mondo contadino era così. Fatica e sudore. Terra e mani segnate dal lavoro. Occhi al cielo per capire come sarebbero andati i raccolti. Ma era anche rumori e festa, bicchieri alzati al cielo, fette spesse di pane da condividere su tavole di legno, nelle aie. Era un mondo povero ma ricco oltre ogni altro. Educava alla vita partendo dai fondamentali, quelli che ti insegna la natura.

“A scuola ero bravo ma il mio mondo è qui. Volevo portare avanti la tradizione dei vecchi, della mia famiglia. In fondo non mi manca niente, la campagna mi rende autosufficiente. Sai che a volte devo comprare solo zucchero e caffè?”.

Arriva Lampo, il nome non è scelto a caso. E’ lui che corre veloce nel tempo lento della campagna. Controlla i campi, unico compagno di viaggio del suo padrone.

Stefano in cuor suo aspetta che torni – un giorno – una campagna fatta non solo di produzioni di qualità ma anche di contadini, nel senso più ampio della parola. E coltiva, in questa estate surreale, i semi di un futuro che rimetta i sentimenti dell’uomo al centro di una natura compagna, amante, amica.

Una stagione nuova che rimetta al centro soprattuto le scelte. Stefano le ha fatte a dispetto di un mondo che ti impone le sue ma del quale puoi raddrizzare la rotta, se vuoi.

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