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Strage di Sant’Anna, muore la superstite che salvò le sorelle. Addio a Cesira Pardini

“Continuavano a mitragliare da tutte le parti”, raccontò Cesira al processo. Medaglia d’oro al merito civile, a Stazzema perse la madre e due sorelle. Una di loro aveva 40 giorni, fu la vittima più giovane della strage nazista

Il memoriale alle vittime a Sant’Anna di Stazzema

È morta a 96 anni Cesira Pardini, scampata all’eccidio nazifascista di Sant’Anna di Stazzema (Lucca), medaglia d’oro al merito civile per aver messo in salvo, quel 12 agosto 1944, due sue sorelline, Adele e Lilia e un altro bambino.

Nella strage, costata la vita a 560 persone, morirono la madre e altre due sorelle di Pardini, Maria, e Anna. Quest’ultima fu la più piccola vittima della strage: aveva quaranta giorni di vita.

L’annuncio del sindaco

A dare notizia della scomparsa il sindaco di Stazzema, Maurizio Verona. “Ho appreso la notizia della scomparsa di un’altra superstite dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema”, scrive il primo cittadino su facebook. “Un caloroso abbraccio ai suoi familiari, e un enorme grazie a Cesira per essere stata una ambasciatrice di Pace e di Memoria”, aggiunge il primo cittadino.

“Abbiate pietà almeno di questa creatura, ha gridato”

La testimonianza

Cesira Pardini aveva 18 anni quando si verificò la strage. Testimoniando al processo a La Spezia davanti al tribunale militare per l’eccidio raccontò: “Mia madre era contro il muro, con Anna in braccio. Abbiate pietà almeno di questa creatura, ha gridato. Quello, era un italiano, ha estratto il revolver e glielo ha puntato alla testa. Mamma ha fatto appena in tempo a dirci di salvarci, di scappare. Si è aperta la porta del fondo. Ho preso l’Adele, la Lilia, ho buttato dentro la Maria, che era tutta a pezzi. Le cadeva un braccio, aveva una gamba staccata. Continuavano a mitragliare da tutte le parti, e noi siamo state immobili, in silenzio…”.

Cesira, ambasciatrice di pace

“Cesira Pardini ha vissuto la barbarie di una strage che ha distrutto un paese intero e gran parte della sua famiglia, ma è sempre stata ambasciatrice di pace” commenta il presidente della Toscana, Eugenio Giani. Le sue parole e la sua vita e testimonianza, come quella di Enrico Pieri scomparso lo scorso dicembre, ci ricordano che non bisogna mai dimenticare, ma ci illuminano anche sull’importanza di guardare avanti ad un futuro senza più guerre in un’Europa solidale che proprio dalle macerie della Seconda guerra mondiale è nata. Un’idea di Europa che assume un significato ancora più rilevante in questo momento, con la guerra che si sta consumando in Ucraina”.

Non dimenticheremo la sua voce

“Le parole e la voce di Cesira Pardini, come di altre e altri sopravvissuti e testimoni dei drammi che hanno sconvolto il Novecento, non si affievolirà, neppure adesso che Cesira non c’è più” sottolinea l’assessora alla cultura della memoria, Alessandra Nardini. La Toscana è da sempre in prima linea nella salvaguardia e nella trasmissione della memoria, con un’attenzione particolare alle nuove generazioni, che devono conoscere ciò che è stato, l’orrore e la vergogna del nazifascismo, per saper interpretare il presente, per non sottovalutare mai i pericolosi rigurgiti a cui ancora oggi assistiamo e soprattutto per costruire un presente e un futuro di pace, libertà e democrazia, liberi da violenze, soprusi e discriminazioni. Cesira ed altri testimoni di quelle stragi – aggiunge – hanno speso le proprie energie, la propria vita, anche se questo spesso è stato doloroso, nel ricordare, nel tenere viva la memoria. L’hanno fatto pensando proprio, innanzitutto, ai giovani, e oggi come istituzioni non possiamo che onorarli garantendo e rafforzando il nostro impegno in questo senso”.

La verità sgtorica

È oramai acclarato infatti che quella mattina, nel paese di Sant’Anna allora diviso in più borghetti, i soldati tedeschi furono guidati sul monte che guarda il mare, fino alla Corsica e l’Argentario, da fascisti della Versilia. Soffocarono 560 vite per poi dare quasi tutto alle fiamme. Calarono da tre sentieri diversi e chiusero Sant’Anna ad imbuto. Un’azione premeditata e studiata. Rastrellarono chi poterono: donne, uomini e bambini, anche di pochi anni e mesi (come una delle sorelle di Cesira Pardini, venti giorni di vita, l’ultima nata del paese). Morirono nonni e genitori, figli e nipoti. Molti furono uccisi in casa o per strada, altri furono radunati nella piazza davanti alla chiesetta che ancora c’è e lì finiti a colpi di mitragliatrice. La loro storia è raccontata in un museo.

Uccisero Evelina, che quella mattina aveva le doglie del parto. Uccisero Genny, la madre che prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario (Marsili), scagliò lo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle; e lo salvò, anche se il piccolo rimase offeso dal fuoco in gran parte del suo corpicino. Uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati di risparmiare la sua gente. Uccisero più di un prete. Uccisero gli otto fratellini Tucci con la loro mamma.

Poi in quel luogo di morte e sterminio nel 2000 è nato il Parco nazionale della pace. Sotto una lapide, in cima alla montagna e al termine di una via crucis, che mette in fila i nomi di tutti quegli innocenti uccisi settantotto anni fa dai tedeschi con l’aiuto dei fascisti. Con i marmi delle Apuane a far capolino e i monti Leto, Gabberi e Ornato di guardia.

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