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Ricreato all’Elba ‘Nesos’ un vino antichissimo nato 2400 anni fa

Presentato il prodotto che replica un processo antichissimo che prevedeva di immergere l’uva in acqua di mare 

Nesos

Ricerca scientifica, scoperte archeologiche, arte, passione per la coltivazione della vite in un territorio ineguagliabile come quello del Parco dell’Arcipelago Toscano e dell’Isola d’Elba hanno dato vita ad un prodotto che racconta una storia millenaria. È Nesos il vino ‘marino’ realizzato dall’Azienda Agricola Arrighi in collaborazione con il professor Attilio Scienza dell’Università di Milano replicando le tecniche della produzione dell’antichissimo vino dell’Isola di Chio.

Grazie a un esperimento scientifico unico al mondo è statao possibile ricreare un vino prodotto 2400 anni fa. I vini di Chio, piccola isola dell’Egeo orientale, facevano parte di quella ristretta élite di vini greci considerati prodotti di lusso sul ricco mercato di Marsiglia e successivamente di Roma. Varrone li definiva “vini dei ricchi” e, come ricorda Plinio Il Vecchio, Cesare li offrì al banchetto per celebrare il suo terzo consolato.

Come i vini di Lesbo, Samos o di Thaso, quello di Chio era dolce e alcolico – unica garanzia per sopportare i trasporti via mare – ma aveva qualcosa che gli altri vini non avevano, un segreto che i produttori di Chio custodivano gelosamente e che rendeva questo vino particolarmente aromatico: la presenza del sale derivante dalla pratica dell’immersione dell’uva chiusa in ceste, nel mare, con lo scopo di togliere la pruina dalla buccia ed accelerare così l’appassimento al sole, preservando in questo modo l’aroma del vitigno. L’uva utilizzata per ricreare questo particolare metodo di vinificazione è l’Ansonica: un’uva bianca tipica dell’Elba, probabile incrocio di due antiche uve dell’Egeo, il Rhoditis ed il Sideritis, varietà caratterizzate da una buccia molto resistente ed una polpa croccante che ha permesso una lunga permanenza in mare.

Le uve dell’Azienda Arrighi sono state immerse in mare per 5 giorni a circa 10 metri di profondità, protette in ceste di vimini. Questo processo ha consentito di eliminare parte della pruina superficiale, accelerando così il successivo appassimento al sole sui graticci, senza arrivare alla produzione di un vino dolce. Il sale marino durante i giorni di immersione, per “osmosi” penetra anche all’interno, senza danneggiare l’acino. Il successivo passaggio delle uve avviene in anfore di terracotta con tutte le bucce, dopo la separazione dei raspi.

La presenza di sale nell’uva, con effetto antiossidante e disinfettante, ha permesso di provare a non utilizzare i solfiti. Di questo vino, vendemmia 2018, sono state prodotte solo 40 bottiglie, l’ultima vendemmia, la 2019, è nelle anfore di terracotta ancora a contatto con le bucce. Dalle analisi svolte dall’Università di Pisa è emerso inoltre che il contenuto in fenoli totali del vino marino è il doppio rispetto a quello prodotto tradizionalmente, e questo grazie alla maggiore estrazione legata alla parziale riduzione della resistenza della buccia.

Il documentario Vinum Insulae diretto e prodotto da Stefano Muti, che racconta l’esperimento enologico di Nesos è stato premiato al 26° Festival International Œnovidéo di Marsiglia come Miglior Cortometraggio e dalla Revue des Œnologues, per l’originalità e il valore della sperimentazione.

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