Salute/

Obesità e stress: ecco perché cuore e cervello sono più vulnerabili

Lo studio internazionale coordinato dalla Sant’Anna di Pisa per la prima volta mette in relazione l’effetto dell’obesità e dello stress psicosociale, come quello sul lavoro

Cuore e ippocampo, una piccola regione del cervello, sono strettamente legati e in caso di obesità e di esposizione per lungo tempo allo stress entrambi gli organi vengono danneggiati, essendo privati dell’azione protettiva del fattore neurotrofico cerebrale, o BDNF. A mettere in relazione per la prima volta l’effetto sinergico dell’obesità, come quella indotta da una dieta ricca di grassi saturi, e del subentrante stress psicosociale, come quello correlato al lavoro, alla discriminazione sociale o alla violenza, con la disfunzione dell’asse cuore-cervello da carenza di BDNF è uno studio internazionale condotto dai ricercatori della Scuola Sant’Anna di Pisa.

L’Unità di Medicina Critica Traslazionale dell’Istituto di Scienze della Vita della Sant’Anna, coordinata dal professor Vincenzo Lionetti, ha lavorato in collaborazione con il Cnr di Pisa, la Johns Hopkins University di Baltimora e l’Università di Udine. I risultati dello studio recentemente pubblicato su EBioMedicine sono parte del progetto di ricerca svolto dal dottor Jacopo Agrimi, presso l’area di ricerca del Cnr di Pisa che a Baltimora, durante il suo PhD in Medicina Traslazionale presso l’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Sant’Anna, grazie ad una borsa di studio finanziata da Telecom Italia.

La ricerca ha rivelato che solo i topi obesi dopo uno stress cronico presentano una maggiore riduzione della funzione cardiaca, sistolica e diastolica, sebbene la densità capillare miocardica non si riduca, e una grave disfunzione ippocampale, caratterizzata da un deterioramento del tono dell’umore e della memoria spaziale. È interessante osservare come sia il cuore sia l’ippocampo dello stesso soggetto rispondano, allo stesso modo, ad un crescente stress ossidativo, ovvero con una progressiva perdita di cellule, rese ormai fragili dalla ridotta espressione di BDNF e TrkB, il suo specifico recettore, la cui assenza favorisce livelli tissutali più alti di radicali liberi dell’ossigeno.

“Nell’anno in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosce il burn-out causato dallo stress cronico sul lavoro come una diagnosi medica ufficiale, il nostro studio aiuta a fare chiarezza sui meccanismi – spiega il professor Vincenzo Lionetti – si tratta di risultati di grande rilievo perché hanno anche permesso di caratterizzare un modello sperimentale di disfunzione dell’asse cuore-cervello che presenta dei tratti clinici e biochimici sovrapponibili a quelli identificati nell’uomo. Pertanto, il nostro modello potrà essere d’aiuto per lo sviluppo di nuove strategie di protezione multiorgano dedicate a chi è potenzialmente sano, sebbene ad alto rischio, ma anche al paziente critico.”

I più popolari su intoscana