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Storie (umane) dietro l’emergenza. Come si racconta la Croce Rossa

Il fornaio che regala la schiacciata ai volontari, i volontari che si abbracciano e le loro facce che si fanno tese prima di salire in ambulanza. Intervista a Michele e Alice, fotografo ed addetto stampa del Comitato di Firenze 

Volontari CRI al Pre triage di Santa Maria Nuova di Firenze - © Michele Squillantini

Sono anche loro in prima linea, si tengono a debita distanza, non per paura di ammalarsi ma per non essere d’intralcio, per rispetto verso la fatica e il dolore di coloro che stanno per immortalare.

Cosa posso dare in più io con la mia macchina fotografica?”, è una domanda lecita. A Michele a volte è anche venuto l’istinto di posarla a terra la sua macchina fotografica per aiutare quelli che avrebbe dovuto fotografare a spostare, a montare e spostare di nuovo. 

Michele è Michele Squillantini, volontario della Croce Rossa e Protezione civile del comitato di Firenze: volontario e fotografo. Michele documenta l’attività e il lavoro che l’associazione porta avanti sul campo supportando l’ufficio stampa e comunicazione che ha il volto di Alice D’Alfonso.

Raccontare attraverso un obiettivo il lavoro dei soccorritori in questa emergenza è una cosa che non si fa a cuor leggero: “Ogni volta che esco di casa per andare a fare un servizio fotografico per la Croce Rossa – riferisce Michele – è come se mi sentissi sopra un’altalena, un’altalena emotiva: da un lato la responsabilità di testimoniare l’impegno della Croce Rossa, dall’altro mi chiedo come posso restituire la descrizione dell’emergenza e contemporaneamente sensibilizzare e spronare le persone ad adottare comportamenti utili”. 

Michele racconta la prima giornata in emergenza. È con alcuni amici in sala volontari. Scambiano quattro chiacchiere, è tutto tranquillo. Suona il telefono del 118: è un caso di Covid.Le facce cambiano, si fanno tese. Uno ad uno vanno a prendere i dpi (dispositivi di protezione individuale, ndr) e iniziano a vestirsi. “Sapevo che quel momento doveva essere raccontato ma non volevo essere invadente o violare il momento stesso. Qui non siamo alla ricerca di sentimenti facili, documentare è altro”.
Lo scatto è stato scelta da Croce Rossa nazionale per celebrare la festa del papà.

Foto scelta da Croce Rossa Nazionale per la festa del papà

Raccontare con discrezione e sensibilità. Anche il lavoro da addetto stampa di Alice è cambiato quando l’emergenza è scoppiata.

Non si tratta più di comunicare l’operosità della Croce Rossa, è diverso anche dal comunicare l’impegno dei volontari durante un’emergenza come può essere un terremoto o un alluvione: in questi casi le cartucce si sparano subito, si sfornano comunicati, si raccontano buone pratiche, il tutto nell’arco temporale dell’emergenza, che di solito è limitato. La battaglia contro il Coronavirus è diversa, è una guerra di nervi.

I giorni si ripetono e sembrano tutti uguali, ci sono le fake news (tante) da stroncare e c’è l’associazione, un’associazione che fa tanto per gli altri e che dagli altri, dalla generosità degli altri, dipende per la sua stessa sopravvivenza: “Comunicare l’attività della Croce Rossa serve anche per rassicurare la popolazione – spiega Alice –noi facciamo e facciamo bene, e possiamo essere di grande sostegno in questo momento. Poi c’è la questione di capire quale sia il modo più efficace per far capire alla cittadinanza l’importanza di stare a casa, del rischio che corre, che il virus non è lontano”.

So bene – aggiunge – che per questo fine sarebbe utile scendere più nei dettagli di certe storie ma c’è un confine da rispettare. A volte vorrei lasciarmi andare ad un grido ad voce alta: ‘Guardate che l’inferno è vicino’. Non lo faccio”.

La difficoltà sta nel trovare le chiavi giuste per riportare agli altri un impegno e una devozione che si materializzano sul campo, in ambulanza, nei pre Triage, per le strade con i senza tetto. Come si comunica il ‘fare’?

Alice ha ascoltato le testimonianze dei suoi colleghi volontari di rientro da Bergamo, uno degli epicentri dell’emergenza, dove erano stati impegnati in turni di dodici ore ciascuno (notte e giorno) a bordo di ‘ambulanze Covid’ (ambulanza attrezzate e deputate al soccorso di persone con sintomi conclamati). Le ha ascoltate e ha fermato, per iscritto, i loro ricordi sapendo però che non avrebbe potuto rendere in parole i nodi alla gola, le lacrime di commozione, la voce rotta ricordando le strade bergamasche intrise di paura e il senso di colpa provato da uno dei due quando, in piena notte, rientrando all’ambulanza dove a bordo era rimasto il collega, ha notato una donna anziana nei pressi dell’ambulanza e le ha intimato, anche bruscamente, di tornare subito a casa. Il volontario ha fatto il suo dovere, solo dopo ha scoperto dal collega che la signora aveva da poco perso la sorella, era rimasta sola. A notte fonda si era messa la vestaglia ed era scesa in strada sperando di trovare un volto da guardare e con cui piangere. Si era avvicinata all’ambulanza per placare i morsi della solitudine.

Il fotografo francese Jeanloup Sigef diceva che il denominatore comune di tutte le foto è il tempo, un tempo che scivola via e che non sarà mai più lo stesso. Questo nostro presente è fatto di attimi che durano il tempo di un click, di storie semplici e potenti, catturarle diventa fondamentale per le persone che saremo domani ma anche per darci la forza e la responsabilità di essere uomini e donne oggi.

Volontari di fronte al pre triage di Santa Maria Nuova

Storie come quelle che si intuiscono dietro un camice da infermiere, dietro la faccia stanca di un sindaco, o tra le braccia strette dei volontari di Santa Maria Nuova. 

Varrebbe la pena di raccontare la storia di ciascuno degli oltre cinquecento cittadini che hanno risposto in massa alla call della cri di Firenze per diventare volontari temporanei (aperta è chiusa in meno di 24 ore per il grande numero di richieste). Sono storie di gentilezza come quella del fornaio che vendendo Michele in divisa ha regalato lui il pane e tre metri di schiacciata da portare in sede, offrendosi di ripetere il gesto fino a quando l’emergenza non sarà cessata. La storia dei senzatetto dell’albergo popolare di Firenze dove le infermiere volontarie si sono recate per fare attività di screening della temperatura corporea ed educazione alla salute e dove Michele è tornato due volte perché la prima non era soddisfatto del suo lavoro (“non avevo colto granché”, dice).

Infermiere Croce Rossa 

Storie come quella di due anziani, marito e moglie, nel pisano. Storia che Michele racconta attraverso gli occhi del volontario che ha incontrato e che era con loro quando li ha soccorsi nella loro abitazione: avevano tutti i sintomi del virus e crisi respiratorie. In ambulanza la coppia si è salutata: “Sai vero che non ci vedremo più? Salutiamoci”. E si sono baciati teneramente. Accanto a questa storia, c’è quella dei volontari che erano a bordo, che li hanno soccorsi e che hanno condiviso un pezzettino del loro dolore. Storie che il tempo non può portarsi via.

E Michele intende fermarle: ha deciso di andare con la sua macchina fotografica a raccontare il lavoro dei medici e degli operatori a bordo delle ‘ambulanze Covid’: “Cercherò di catturare i dettagli, l’espressione prima che il telefono del 118 squilli, starò alle spalle dei volontari, vorrei fermare i gesti, gli abbracci”.

A bordo di ambulanza Covid

La storia non ha bisogno di essere spettacolarizzata, ci sono tante storie da raccontare. Tutto sta nel saperle raccontare con dignità.

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