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Le stragi nazifasciste in Toscana, per non dimenticare

In occasione dei 74 anni dalla Liberazione, un viaggio nel tempo e nella memoria per ripercorrere un doloroso periodo parte della nostra storia.

Il memoriale alle vittime a Sant’Anna di Stazzema

Un’indagine portata avanti con il progetto Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia ha censito quasi 5000 episodi di questo genere, di cui più di 800 in Toscana, dove le vittime in questo contesto sembrano essere state circa 4500.

La liberazione dell’Italia dal nazifascismo è storicamente associata al 25 aprile 1945, ma, come è scontato, la democrazia non è stata riconquistata in un giorno. Oltre ai terribili anni di guerra, nei mesi che precedettero la fine dell’occupazione il Paese dovette subire il delirio dell’esercito tedesco in ritirata: rappresaglie contro la Resistenza partigiana si trasformarono spesso in vere e proprie stragi repressive.

I numeri, in questi casi, impressionano sempre, ma è nell’efferatezza, nella spiazzante lucidità con cui sono stati compiuti questi rastrellamenti che sta il tormento che assale ripercorrendo queste storie. A colpire, però, non è la somma di tante sofferenze, in quanto, in tanta furia, anche il dolore di un singolo umano ha un peso immenso. In tal senso, ripercorriamo alcune delle più terribili stragi avvenute nella nostra regione.

Vallucciole, in provincia di Arezzo, ha il triste primato di essere stata teatro della prima strage di civili avvenuta in Toscana, con ben 108 vittime. I vicini boschi del Casentino erano rifugio privilegiato di molti partigiani, la cui resistenza crebbe sempre di più nel corso del ’44. L’episodio scatenante associato all’eccidio viene identificato con l’uccisione di due soldati nazisti avvenuta l’11 aprile. Come rivalsa, il reparto tedesco che aveva base a Stia falcidiò la popolazione del circondario, compiendo un massacro, oltre che a Vallucciole, nelle vicine Giuncheto, Molino di Bucchio e Santa Maria.

In Val di Chiana, nel giugno del ’44, l’esercito tedesco cominciò a temere per l’avvicinarsi delle truppe alleate. In attesa che fosse portata a termine la costruzione della Linea Gotica lungo gli Appennini, fu dato il via ad atroci rastrellamenti. Molto colpita, il 29 giugno, fu Civitella, con le sue frazioni. Nonostante inizialmente i civili fossero stati divisi in gruppi dalla spietata Divisione “Hermann Göring”, non furono risparmiati neppure donne e bambini; pare che ci furono vittime addirittura in una casa di riposo. Chi non morì sotto il fuoco dei proiettili, perì per gli incendi appiccati alle case, rivelatesi il posto più sbagliato in cui rintanarsi dalla furia nazista. Le vittime furono 212.

In un clima più sollevato, che seguiva la liberazione della città Prato, la brigata di partigiani “Buricchi” decise di allontanarsi dal Monte Javello, campo base dove si era nascosta fino a quel momento. Era il 6 settembre 1944, le milizie tedesche erano in ritirata, ma i combattenti ebbero la sfortuna di trovare sul loro cammino verso il punto di ritrovo con i compagni una divisione della fanteria tedesca, comandata dal maggiore Karl Laqua. Accerchiati con colpi d’arma da fuoco e catturati, i 29 partigiani vennero fatti morire barbaramente, con un’impiccagione preparata con inquietante dedizione e perpetuata per una lunghissima mezz’ora. I cadaveri non furono rimossi per un’intera giornata.

L’area del Padule di Fucecchio, per le proprie caratteristiche, venne prediletta dalla popolazione locale come riparo, in quanto la fitta vegetazione garantiva un luogo sicuro per gli sfollati. Nonostante ciò, la 26° divisione della Wehrmacht riuscì a raggiungere i poveri civili, che non avevano calcolato il contributo che avrebbero potuto dare i fascisti del posto, che guidarono i Tedeschi verso gli ignari cittadini. Il pretesto fu la volontà di annientare una brigata di partigiani, che in realtà contava solo poche unità. Il risultato fu un’ennesima strage, che, iniziata di primo mattino il 23 agosto del ’44, generò in sola mezza giornata 174 morti.

Una terribile esecuzione, forse meno nota, è quella di Niccioleta, nel Comune di Massa Marittima. Nella piccola frazione si trovava una comunità di minatori provenienti da Castell’Azzara e da Santa Fiora. Tra loro, con molta probabilità, si trovava un cospicuo numero di antifascisti e per questo motivo, furono ritenuti fiancheggiatori dei partigiani che il 9 giugno 1944 avevano occupato il paese. Gli operai furono ben presto fatti prigionieri dai Tedeschi: chi aveva addosso un lasciapassare partigiano, fu immediatamente ucciso, tutti gli altri vennero spostati nella vicina Castelnuovo Val di Cecina, dove trovarono la morte. Spietate raffiche di mitragliatrici tolsero la vita a un totale di 83 lavoratori.

È a Sant’Anna di Stazzema, sulle Alpi Apuane, che si è avuta una delle più mostruose testimonianze dell’agghiacciante violenza nazista. La piccola frazione della Lucchesia, nell’agosto del ’44, si trovò a essere inusitatamente popolosa, perché all’inizio del mese era stata classificata come zona adatta ad accogliere gli sfollati. Così, quando il mattino del 12 agosto, i reparti della 16° SS-Panzergrenadier-Division “Reichsführer SS” raggiunsero il villaggio, la carneficina fu devastante. Il paese venne abilmente accerchiato, ma gli uomini, credendo di essere l’oggetto dell’imminente caccia dei Tedeschi, fuggirono nei boschi. Ciò non bastò a lasciare indenne la popolazione: senza pietà la mano nemica portò via quasi 400 vite tra donne, anziani e bambini, inclusa una piccola neonata. In pochissimi si salvarono dagli implacabili spari dei reparti delle SS.

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