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Ateneo Siena: ricercatori scoprono la farina più antica del mondo

Hanno 32mila anni gli amidi di grano scoperti in un insediamento paleolitico nel Gargano, e dimostrano un utilizzo di conoscenze che si credevano molto più tarde

/ Redazione
Gio 17 Settembre, 2015

È una farina di 32mila anni quella scoperta in un sito archeologico dai ricercatori dell’Università di Siena, la circostanza cambia in modo radicale le nostre informazioni sulle piante utilizzate per la produzione di farine nell’Europa del Paleolitico, rivoluzionando le informazioni in nostro possesso sulle origini della tradizione alimentare.

Il ritrovamento di una farina vecchia più di ventimila anni rispetto alle prime domesticazioni di piante avvenute nel Vicino Oriente, è stata possibile grazie agli amidi rinvenuti su un pestello-macinello proveniente dalla Grotta Paglicci (Rignano Garganico-Foggia), dove il dipartimento di Scienze fisiche della Terra e dell'ambiente dell’Università di Siena svolge da più di 40 anni ricerche in collaborazione con la Soprintendenza archeologia della Puglia.

La maggior parte dei granuli di amido è stata attribuita alla specie poaceae (una graminacea), mente diversi altri sono attribuibili all’avena - probabilmente Avena barbata L. - pianta che in Italia cresce spontaneamente. Si tratta della prima testimonianza dell’uso di questo cereale. È indiziata anche, da un numero ridotto di amidi, la trasformazione in farina delle ghiande di quercia.

Gli antichi cacciatori-raccoglitori di Grotta Paglicci, che vivevano in un clima più freddo dell'attuale, avevano sviluppato tecnologie complesse di lavorazione delle piante prima della macinazione. Lo studio testimonia infatti un pretrattamento termico delle cariossidi (bollitura, tostatura o arrostimento).

Quest'operazione rendeva più agevole la macinazione accelerando l’essiccamento dei chicchi, facilitando l’allontanamento del rivestimento esterno delle cariossidi, e garantendo una maggior conservabilità della farina e, nel caso dell’avena, sviluppando il particolare aroma che non è presente nel prodotto fresco.

Lo studio indica che lo sfruttamento delle risorse vegetali era molto importante per le popolazioni di cacciatori-raccoglitori e che i Gravettiani di Paglicci già possedevano un patrimonio di conoscenze che si pensava diffuso solo dopo la diffusione dell'agricoltura.