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Contratti atipici? Trappola di povertà Saraceno: "Sostegno quasi sparito"

Intervista alla sociologa protagonista della prossima edizione di NovoModo, in programma a Firenze dal 23 al 25 ottobre

/ Dario Cafiero
Lun 12 Ottobre, 2015
lavoratori atipici saraceno

La povertà? Un rischio concreto non solo per le famiglie con inoccupati, come avveniva nel recente passato, ma anche per quelle monoreddito con lavori 'non standard' a causa delle croniche carenze di welfare. Sono proprio le disuguaglianze il tema della prossima edizione di NovoModo, in programma a Firenze dal 23 al 25 ottobre all'Auditorium di Sant'Apollonia, e su quali forme di economia, di politica, di società, dovranno essere costruite per il welfare del futuro. Ne abbiamo parlato con Chiara Saraceno, sociologa di fama internazionale - docente in passato all’Università di Torino e presso il Centro di ricerca sociale di Berlino - da sempre una delle voci più autorevoli sullo studio delle dinamiche sociali, che ha affrontato soprattutto le dinamiche evolutive del lavoro.

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Professoressa Saraceno, le disuguaglianze in Italia ed in Europa affondano le loro radici anche nei 'cattivi lavori', come sottolinea nel suo ultimo libro.
Già prima della crisi, gran parte dell’aumento dell’occupazione che c’era stato aveva riguardato occupazioni con contratti non standard. E’ vero che questi contratti possono riguardare anche lavoro molto qualificati e costituire trampolini di lancio. Tuttavia, i dati sia Eurostat che OCSE segnalano che i lavoratori con questo tipo di contratti hanno un rischio particolarmente elevato di rimanervi intrappolati, specie se sono a bassa qualifica. Sono inoltre meno protetti dei lavoratori standard dagli ammortizzatori sociali. Corrono anche un rischio particolarmente elevato di essere poveri, anche quando vivono in famiglie dove ci sono altri lavoratori. Se poi tutti i lavoratori in famiglia sono non standard, cosa che può facilmente succedere ad una coppia giovane, il rischio è ancora più elevato. Aggiungo che, anche quando l’appartenenza ad un nucleo famigliare con al proprio interno lavoratori standard protegge questi lavoratori dalla povertà, la loro insicurezza economica sul piano individuale rende loro difficile formare una propria famiglia, nel caso dei giovani, o uscire da una famiglia (da un matrimonio) in cui stanno male, nel caso delle donne adulte.

Un problema accentuato, in Italia, dalla scarsa occupazione femminile
La scarsa occupazione femminile rende economicamente vulnerabili molte donne, ma anche molte famiglie. In Italia la povertà riguarda non solo le famiglie in cui nessun adulto è occupato, ma anche famiglie in cui vi è un solo occupato, cioè le famiglie monopercettore di reddito, dove un reddito modesto ma adeguato per una-due persone, diventa inadeguato quando ce ne sono di più. Ciò spiega anche l’elevata povertà minorile, particolarmente concentrata non solo al sud, ma tra le famiglie con tre o più figli e dove lavora solo una persona. D’altra parte, sono anche le famiglie in cui è più difficile per una donna-madre essere occupata, specie se è a bassa qualifica: perché ci sono pochi o punto strumenti di conciliazione (servizi) e le occupazioni accessibili, quando ci sono, non offrono un reddito tale per cui si possano comprare servizi sul mercato. Anche l’organizzazione del lavoro spesso non aiuta. Basta pensare che è aumentato il part time involontario, mentre è molto difficile ottenere quello desiderato.

Quali sono le responsabilità del sistema di welfare, soprattutto di quello italiano, nell'accentuare queste disuguaglianze?
Il sistema di welfare italiano riesce poco a correggere le disuguaglianze, in termini sia di pari opportunità sia di esiti, perché è un welfare insieme ancora troppo categoriale, con troppi buchi e di qualità e copertura diversa a livello territoriale. Non riesce, quindi, a compensare le disuguaglianze nella divisione del lavoro non pagato tra uomini e donne, le disuguaglianze di classe sociale nell’accesso ai servizi, anzi rischia di accentuarle (con la parziale eccezione della sanità e della scuola di base), le disuguaglianze nelle opportunità formative e quindi di investimento nel capitale umano, e così via. Basti pensare alle politiche della casa, che hanno storicamente privilegiato i proprietari (ed ora, con la prospettata eliminazione della Tasi sulla prima casa addirittura eliminando ogni distinzione tra tipi di abitazione), mentre le politiche di sostegno ai bisogni abitativi dei ceti più modesti e dei più poveri sono state sempre marginali e negli ultimi anni pressoché sparite. E mentre continua a mancare uno strumento di sostegno per chi si trova in povertà.

In prospettiva futura, su quali basi si dovrà sviluppare la “nuova” uguaglianza?
Più che di “nuova uguaglianza” parlerei di riduzione delle disuguaglianze, in particolare di quelle eccessive e ingiuste, che non derivano né da meriti né da demeriti individuali. Come hanno osservato diversi economisti, negli ultimi anni la forbice tra chi guadagna molto e chi guadagna poco si è allargata a dismisura. Occorre ridurre le disuguaglianze in alto, non solo in basso. Occorre anche investire negli strumenti di pari opportunità fin dalla prima infanzia e lungo tutto il corso della vita, per consentire a tutti di sviluppare al meglio le proprie capacità e fare la propria corsa. Ma sono necessari anche strumenti di protezione lungo tutto il corso della vita, essendo consapevoli che persone collocate diversamente nella stratificazione sociale sono diversamente vulnerabili agli “accidenti”, individuali o collettivi.