Tra il 1887 e il 1960 il Brasile accoglie oltre un milione e mezzo di emigranti italiani: uno di loro è Gino Amleto Meneghetti, che arriva da Pisa con una carriera già avviata, quella ladro professionista e diventa in breve tempo il rapinatore più ricercato del Brasile.
La sua storia straordinaria è raccontata nel libro “Il buon ladro” di Andrea Schiavon, uscito per Add Editore, in cui si ripercorre la vita di Gino: una figura eccezionale, che sembra uscita da un romanzo, un anti-eroe amato dalla povera gente.
Sbarcato in Brasile nel 1913, l’anno seguente Meneghetti sconta già la prima condanna e, colpo dopo colpo, diventa il nemico pubblico numero uno della polizia di San Paolo. Per riuscire ad arrestarlo vengono mobilitati 200 poliziotti in un’operazione clamorosa che porterà alla condanna più pesante: 43 anni di prigione. Scarcerato nel 1947 grazie a un decreto presidenziale, ormai settantenne, Gino cerca di rimanere sulla retta via, ma la libertà dura poco. Incorreggibile, al momento dell’ultimo arresto ha più di 90 anni.
Le sue fughe acrobatiche dai penitenziari, i suoi furti all’Arsenio Lupin messi sempre a segno contro i membri dell’alta società, lo fanno diventare una celebrità e gli fanno conquistare la simpatia del popolo. L’opinione pubblica, che segue le sue gesta fuori e dentro il carcere, lo ama: Meneghetti ruba solo ai ricchissimi e non minaccia mai nessuno con un’arma, ma mette a segno i suoi colpi utilizzando solo l’astuzia. Come quando svuota la casa di una baronessa e poi le lascia un biglietto firmato dove la invita a trovarsi un gioielliere migliore.
Il “buon ladro”pisano era diventato così famoso che ancora oggi alcuni ristoranti di San Paolo propongono le “lasagne alla Meneghetti”.