Le Murate, carcere fino al 1983, sta tornando a nuova vita, nel vero senso della parola. Il luogo diventato tristemente famoso durante la seconda guerra perché venne usato dai nazifascisti per imprigionare e torturare dissidenti politici e partigiani catturati in tutta la Toscana, rappresenta ormai un epicentro culturale non solo per la città di Firenze ma a livello internazionale. Polo tecnologico e culturale, un rinomato ristorante, un affollato caffè letterario. E ora, grazie alla sinergia tra Comune di Firenze, Ambasciata degli Stati Uniti d’America e il Robert F. Kennedy Center for Justice & Human Rights ospiterà blogger, dissidenti e giornalisti in fuga dal loro paese, perché in guerra o perchè sotto regimi oppressivi. Offrirà loro un luogo tranquillo dove poter portare avanti il loro lavoro e da dove poter far sentire la loro voce.
"Questa iniziativa - ha detto il sindaco di Firenze, Matteo Renzi - è una grande occasione per Firenze che non può essere solo una città nella quale il mondo del giornalismo riflette su due corsivi e tre virgolettati, le solite cose di cui si parla sempre; ma è un'occasione - ha proseguito Renzi rivolgendosi ai giornalisti - per rendersi conto che tanti vostri colleghi lottano attraverso anche strumenti innovativi, per raccontare ciò che succede nel mondo e difendere il diritto alla libertà". "Capisco che dobbiamo occuparci delle questioni di tutti i giorni - ha concluso Renzi -, ma siamo Firenze ed essere Firenze significa avere il cuore allargato alle grandi questioni internazionali".
Per l'Ambasciatore degli Stati Uniti in Italia David Thorne "i dissidenti digitali oggi possono lasciare un segno: loro comunicano in tutto il mondo con Internet e nei prossimi anni useranno sempre di più questo modo di comunicare, anche per cambiare le cose: l'apertura è sempre meglio della chiusura".
Le Murate già ospitano il Centro Europeo di Alta Formazione ed Educazione ai Diritti Umani e per la libertà dei popoli del Robert F. Kennedy Center for Justice & Human Rights. Il centro ha ospitato una ricca due giorni dedicata ai diritti umani e ai social media. Nel corso del convegno i partecipanti hanno cercato di capire se i cosiddetti 'smart dissidents' possono aiutare a portare un cambiamento nei loro paesi. La difesa dei diritti umani e del giornalismo libero sono anche i punti cardine del Robert F. Kennedy Center intitolato nato negli Stati Uniti nel 1988 grazie a Kerry Kennedy, figlia del Senatore Robert, che fondò il RKC per tutelare gli attivisti dei diritti umani, attraverso partnership di lungo periodo, a sostegno di movimenti a favore della giustizia sociale.
Tra i giornalisti presenti all’incontro anche Bernardo Perrella editor di Global Voices, una rete di oltre 500 corrispondenti, blogger, giornalisti, tutti volontari sparsi in moltissimi paesi del mondo, in particolare in quelli non presidiati dai media tradizionali. In sala anche alcuni 'smart dissident'. Molti di loro provengono dai paesi caldi del nord africa, quelli della primavera araba, ma non solo.
“Il mese scorso 5 giornalisti sono stati uccisi in Siria, io ho metà dei miei giornalisti in prigione, anche il nostro editore è in carcere dallo scorso mese, la situazione è davvero molto brutta. Tutti i reporter lavorano senza firmare i loro servizi, nessuno di loro continua ad usare il nome vero, e se vengono presi vengono imprigionati e torturati. Poi vengono obbligati a firmare un documento nel quale dichiarano di non volere più lavorare come giornalisti, mai più nella loro vita”, questo è lo sconvolgente racconto di Ayman Abdel Nour, capo redattore del blog All4Syria.
Ma come è cambiato il modo di fare giornalismo dopo l’avvento dei social network? Per Luca De Biase, giornalista del Sole24ore, fondatore di Nova ed esperto di social media, i giornalisti intesi nel modo classico devono ‘stare in guardia’, "è tempo di rimboccarsi le maniche e ritrovare la sostanza del lavoro giornalistico", ha detto de Biase e ha aggiunto che "i social network offrono un sfida nuova, una fonte aggiuntiva per chi lavorare nel mondo dell’informazione".
Vaughan Smith è a capo della Club dei giornalisti di frontiera. Un lavoro pieno di rischi, in territori in guerra, lo stesso Smith è scampato due volte a scontri a fuoco. Il valore dei social network, ci spiega Smith e che sono slegati da ogni logica di potere, raccontano e basta quello che la stampa foraggiata dai poteri forti non potrebbe fare.
“Il giornalismo tradizionale è un’impresa cooperativa, è business e subisce l’interesse del mondo del business. I social media e Internet permettono a ciascuno di noi di partecipare all’ informazione, hanno dato vita ad un processo di democratizzazione della notizia che ha una portata enorme”, ha dichiarato Smith.
Attualità /ARTICOLO
Gli 'smart dissident' avranno casa alle Murate
Comune di Firenze, Ambasciata degli Stati Uniti d’America e il Robert F. Kennedy Center a sostegno dei giornalisti perseguitati

The Green Wave alle Murate