Mai così tanta pioggia è caduta prima, ma una siccità è stata così duratura, mai così tanto vento si è abbattuto sulle nostre città, mai così poca neve ha ricoperto le montagne. No, non sono slogan buoni solo per certi titoli sensazionalistici. Si tratta piuttosto di una fotografie verosimile di fenomeni che possiamo empiricamente toccare con mano. Basta guardarsi attorno. Per ogni anno che passa ci sono sempre nuovi record pronti per essere registrati. E sono tutti (o quasi) la conseguenza di un cambiamento. Quello climatico.
Un cambiamento che paghiamo a caro prezzo. "Questi fenomeni estremi sono ben visibili. E ci costano. Ben tre miliardi l'anno, per l'esattezza". A ricordarlo è Giampiero Maracchi, presidente dell'Accademia dei Georgofili. È proprio qua, nelle Logge Uffizi Corti di Firenze, che si parla di cambiamenti climatici e scenari di rischio. Un convegno organizzato, oltre che dall'Accademia, anche dal Consorzio LaMMA e dall'Istituto di biometeorologia del CNR.
La soluzione? Secondo Maracchi si dovrebbe "cambiare il modello economico che abbiamo conosciuto negli ultimi quarant'anni". Anche se la prima grande rivoluzione, a suo dire, dovrebbe partire da un maggiore utilizzo delle energie rinnovabili. "Sì, le innovazioni costano. Ma sempre meno di quanto possa costare oggi il petrolio", chiosa il presidente.
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Impossibile trattare il tema del climate change senza affrontare la questione della previsione. Sia quella del rischio sia quella meteorologica. Del resto sul tempo che farà domani si concentra la maggior parte delle ricerche su internet, mentre non esiste smartphone che non abbia almeno una app meteo installata. "Il cambiamento climatico ha aumentato la frequenza degli eventi intensi" spiega Bernardo Gozzini, amministratore unico del Consorzio LaMMA. "Mi riferisco a grandi quantità di pioggia che cadono in breve tempo. Proprio com'è accaduto lo scorso anno a Livorno e prima ancora a Firenze e Pisa". La lista delle alluvioni, in Toscana, sarebbe ancora lunga. Certo, poter contare su un sistema nazionale di previsione aiuterebbe. "Purtroppo in Italia non esiste un centro meteo nazionale. Siamo gli unici ad avere un servizio metereologico di natura militare. Fortunatamente c'è un tentativo di creare un'agenzia nazionale che ci permetterebbe di superare il gap con gli ltri paesi".
E quando si parla di alluvioni è immancabile il riferimento alla più grande, quella del '66. Non è un caso, quindi, che nel corso del convegno sia stata presentata la pubblicazione "Arno 1966. Cinquant'anni di innovazioni in meteorologi". Un testo che raccoglie i contributi del workshop organizzato lo scorso novembre in occasione dell'anniversario dell'alluvione di Firenze. "La percezione del rischio? Prima di tutto ai cittadini occorre sempre quello che succede, facendo capire che cosa significa allertarsi e prevedere questi fenomeni" precisa Valentina Grasso (Consorzio LaMMA), che insieme a Federica Zabini ha progettato il volume e condotto una ricerca sul tema a mezzo secolo di distanza dall'alluvione del '66. "Ciascuno di noi deve sentirsi responsabile della propria sicurezza" aggiunge. "La responsabilità non si delega completamente alle istituzioni. Eppure il venticinque per cento degli intervistati la pensa proprio così. Solo il diciotto per cento sa che esiste un piano di emergenza locale. Di fatto ci si aspetta che qualcuno venga a salvarci. Ma ognuno deve diventare un attore protagonista. Anche in emergenza".