Badia Fiorentina
Grande complesso monastico situato nel cuore di Firenze, per secoli la Badia Fiorentina ha condiviso la storia, il lavoro e la vita della città. L’antichissima chiesa di Santo Stefano fu venduta a Willa marchesa di Toscana che ne curò la ristrutturazione con dedicazione alla Vergine Maria (978) e ne affidò la cura ai monaci benedettini per i quali fu edificato un monastero. L’abbazia, col suo contributo di fede operosa, era parte vitale della comunità cittadina: molte botteghe sorsero nei dintorni in risposta e in collaborazione con le esigenze e le attività dei monaci. La Badia fu spesso oggetto di donazioni, a partire da quelle del marchese Ugo, figlio di Willa, che consentirono i successivi ampliamenti: il primo edificio, lungo le mura della cerchia antica (attuale via del Proconsolo) era orientato verso il centro della città. Secondo la tradizione l’imperatore Corrado II donò a difesa del monastero la torre (1038) che fu successivamente (1282) il primo luogo di riunione dei Priori delle Arti (visibile da via Dante Alighieri). Nel 1284 l’intero complesso fu ristrutturato, nell’ambito del grandioso progetto di ampliamento della città e di ridefinizione dei luoghi civici, da Arnolfo di Cambio. Di questo nuovo edificio gotico le parti più visibili sono l’abside (via del Proconsolo davanti al Palazzo civico del Bargello) e il caratteristico campanile che svetta sul serrato scorcio degli edifici. Nel ‘400 furono acquisite delle case confinanti e venne realizzato il Chiostro degli Aranci; successivamente fu costruito l’atrio (con doppio accesso: via Dante Alighieri e via del Proconsolo). È del ‘600 la trasformazione più importante della chiesa: la pianta diventa a croce greca e muta orientamento. Ai primi dell’800, in seguito alle soppressioni, i monaci lasciarono l’abbazia, i cui locali furono frazionati e ceduti per usi diversi. La chiesa ha invece sempre mantenuto la sua funzione e, dall’8 settembre 1998, è stata affidata alle Comunità Monastiche di Gerusalemme, la cui missione, sintetizzata nelle parole “vivere nel cuore della città nel cuore di Dio”, mette l’accento sulla bellezza della liturgia come oasi di contemplazione nel ritmo concitato della città. All’interno della chiesa, a sinistra, si trova l’Apparizione della Madonna a San Bernardo (Filippino Lippi, 1482-86).
Il santo indossa l’abito bianco caratteristico dei cistercensi del ‘400 ed è intento a scrivere testi in onore della Vergine; sulla destra, in alto, quattro monaci rappresentano con grande efficacia la spiritualità benedettina. Due di loro sono rivolti alla luce emanata dall’apparizione della Madonna, gli altri due sono impegnati nel lavoro quotidiano. Il legame tra vita attiva e vita contemplativa - ora et labora - cuore del carisma benedettino è rappresentato oltre che dai monaci anche da San Bernardo. Secondo la tradizione, in un momento di difficoltà nel suo lavoro intellettuale, riceve la vista di Maria. Tra gli uomini testimoni di Dio nella vita della comunità, San Bernardo (1009-1153) è punto di riferimento come oppositore ad ogni tentativo di ridurre la fede cristiana a filosofia: per questo Dante fa pronunciare a lui nell’ultimo canto della Divina Commedia la bellissima preghiera, che in una limpida sobrietà di linguaggio esprime la fede e l’accettazione del mistero dell’incarnazione e dell’amore di Dio, come un affidamento di tutto il genere umano alla Vergine Madre di Dio.
Santa Croce
Bernardo ed Egidio, seguaci di San Francesco, giunsero a Firenze nel 1209; nel 1211 lo stesso Francesco con Silvestro si fermarono in città. Dopo un primo periodo di diffidenza, i fiorentini cominciarono a rispettare e amare questi uomini che avevano scelto, ad imitazione di Cristo, una vita di condivisione con i più deboli. Ebbero in dono un oratorio fuori delle mura, sulla riva dell’Arno, zona soggetta a inondazioni, occupata dal ceto più povero (lavoranti tessili, manovali, fabbri): già i primi frati riuscirono a portare loro conforto. Il messaggio cristiano, attraverso la predicazione e l’esempio di vita, proponeva come insegnamento evangelico dignità dell’uomo, rispetto per tutto e per tutti, ricchezza prodotta e usata per il bene comune. Fu edificata una prima chiesa dedicata alla Santa Croce (1221-1228) alla quale il re di Francia Ludovico IX fece dono di una reliquia della Santa Croce (1258) e con l’ampliamento della cerchia muraria, che inglobava l’intero quartiere, fu decisa la costruzione di una nuova chiesa di grandi dimensioni: il progetto fu affidato ad Arnolfo di Cambio e la prima pietra fu posta il 3 maggio 1294, festa della Santa Croce. L’edificazione della basilica, con pianta a T (tau, simbolo della croce preferito da San Francesco), con capriate in legno a vista, fu finanziata dal Comune e dalle ricche famiglie fiorentine che si legarono ai francescani. Si tratta della chiesa francescana più grande al mondo e la piazza antistante ne è la sua necessaria estensione: la missione dei francescani è la testimonianza e la predicazione, la piazza rappresenta l’accoglienza a tutti coloro che “hanno orecchi per intendere”.
Nella cappella Bardi (1331) Giotto, comunica con straordinaria forza narrativa il carisma francescano nella sintesi della vita del Santo. La rinuncia al mondo, il riconoscimento del papa all’ordine da lui fondato, la vocazione missionaria verso l’oriente musulmano, un miracolo in vita (l’apparizione nel capitolo di Arles), l’evento clamoroso delle stimmate (sopra l’arco d’ingresso), la morte (con la verifica delle stimmate) e due miracoli post mortem (l’apparizione a frate Agostino e al vescovo di Assisi). La totale adesione a Cristo, testimoniata dalle stimmate, ha come strada la rinuncia alla ricchezza e l’obbedienza all’autorità della chiesa. Il frutto è l’annuncio di Cristo a tutti e il permanere della presenza di chi si è immedesimato con Cristo, al di là dei limiti di spazio e tempo. Nella scena delle esequie, baciando la mano di Francesco il frate s’inabissa nel mistero di Dio che ha voluto farsi conoscere attraverso un uomo che è Cristo che si rende presente in Francesco. Questi uomini di Dio si riconoscono non per le gesta clamorose che compiono ma per lo sguardo partecipe di quello che accade davanti ai loro occhi.
Il crocifisso ligneo di Donatello (1415) rappresenta l’immedesimazione tra Dio e l’uomo: l’artista esprime il concetto dell’incarnazione di Dio nella corporeità di Cristo, proprio nel momento della più intensa e compiuta partecipazione di Dio alla vita dell’uomo, come recita San Paolo, nella lettera ai Filippesi, “apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte ed alla morte di croce”.
Palazzo Vecchio Arengario
In due particolari elementi sull’esterno dell’edificio progettato da Arnolfo di Cambio come sede dei Priori (1298) e divenuto Palazzo della Signoria (XV secolo), si manifestò la sensibilità religiosa dei fiorentini che si riconoscevano nel governo repubblicano: furono inseriti sul frontone gotico sopra la porta, dopo la seconda cacciata dei Medici, il monogramma raggiato di Cristo e, su proposta del gonfaloniere Niccolò Capponi, la scritta di ispirazione savonaroliana Iesus Cristus rex fiorentini popoli. L’iscrizione fu sostituita nel 1551 dal granduca Cosimo I con Rex Regum et Dominus Dominantium, che voleva cancellare ogni memoria della repubblica. La grande statua in marmo del David che Michelangelo realizzò nel 1504 per essere posta sull’arengario si richiama anch’essa ai valori del “popolo fiorentino”: non con la forza ma con l’intelligenza egli sconfigge il gigante, realizzando la missione che Dio gli ha affidato. Come David anche Giuditta, benché donna e debole, ha ragione del possente Oloferne. Quando il gruppo bronzeo di Donatello, dopo la prima cacciata (1494) fu trasferito qui da palazzo Medici, sul capitello del basamento fu aggiunta l’iscrizione exemplum sal[utis] pub[licae] cives pos[uerunt] (i cittadini lo posero <qui> come esempio di salvezza pubblica). Entrambe le opere sono copie.
Loggia di Orsanmichele
La storia di questo edificio costituisce una testimonianza di come le istanze del cristianesimo si siano intrecciate con la storia civile della città, in un rapporto osmotico di reciproco scambio.
La sua funzione iniziale era di loggia per il mercato delle granaglie ma, con l’affermarsi della devozione di una immagine mariana, diventa un edificio in cui la funzione commerciale e quella religiosa convivono per lungo tempo in un rapporto di stretta correlazione. Fu probabilmente per questo motivo che, nel 1336, l’Arte della Seta, cui era stata affidata la fabbrica, decise di trasformarlo nel simbolo della potenza delle Arti, con la realizzazione di dodici tabernacoli addossati ai pilastri con le statue dei loro santi protettori. Lo sfarzo ornamentale, la ricchezza e la preziosità dei tabernacoli, l’eloquenza delle statue, corrispondono all’atteggiamento della classe imprenditoriale fiorentina, rappresentata dalle Arti, che rende omaggio alla religione, in essa riflettendosi. Ci vollero diverse decine di anni perché tutte le opere fossero completate, ma quello che resta è uno straordinario ciclo scultoreo dei più grandi artisti fiorentini che composero un prezioso compendio del passaggio dalle forme tardogotiche a quelle pienamente rinascimentali.
Sopra ad ogni tabernacolo sono raffigurati gli stemmi delle Arti realizzati ad affresco o in terracotta policroma invetriata: i primi sono ormai quasi illeggibili, i secondo sono ancora ben visibili e di maggior pregio. Le statue inserite nei tabernacoli sono copie.