Cultura/ARTICOLO

La leggenda di Camaldoli, cuore della cultura Toscana

Arte, scienza enatura di un luogo di grandi tradizioni

/ Redazione
Mar 10 Dicembre, 2013

La storia dell’eremo di Camaldoli, che si trova sull’antica strada romana che collegava Arezzo alla Romagna attraverso il passo del “gioghetto”, si lega alla figura di San Romualdo, monaco benedettino che nel 1012 decise di fondare un piccolo eremo tra le solitarie abetine della montagna casentinese. Al romitorio, composto inizialmente da cinque celle (oggi sono venti, accanto ad una chiesa in stile barocco), venne affiancata un’abbazia, costruita poco più a valle, che permise ai monaci di dedicarsi completamente alla vita comunitaria secondo la regola del loro ordine. Gli spazi del monastero detto di Camaldoli (da Cà Maldoli, Casa di Maldolo), vennero articolandosi in una foresteria, una sala capitolare e una farmacia, nel quale i monaci lavoravano le spezie e le piante officinali. Oggi questo spazio è affiancato dal museo del laboratorio galenico, che conserva alcuni rari libri di medicina antica e le apparecchiature originali. I monaci ancora oggi vendono i loro preparati ai visitatori seguendo le antiche ricette e accogliendoli nello splendido ambiente arredato con mobili del Cinquecento. Tra le opere d’arte da segnalare all’interno del monastero, ci sono le cinque tavole dipinte dal Vasari, in cui spiccano i capolavori assoluti della Natività e della Deposizione. Il grande pittore aretino era fuggito da Firenze nel 1537, dopo l’assassinio del duca Alessandro de Medici, trovando rifugio presso i monaci camaldolesi, i quali, dopo aver superato le diffidenze per la giovane età dell’artista, fecero eseguire i quadri che dovevano abbellire l’altare maggiore.

Se Camaldoli divenne un importante centro culturale, di cui sono testimonianza le "Disputationes camaldulenses" di Cristoforo Landino, che riporta le discussioni di politici e intellettuali del Rinascimento come Lorenzo dei Medici, Giovan Battista Alberti e Marsilio Ficino, non meno importante fu l’opera dei monaci nella conservazione delle foreste. Nel 1520 l’ordine elaborò un rigoroso codice forestale, il primo vero Codice Forestele italiano, che disciplinava il taglio del bosco. Nel XVII Secolo i monaci facevano affari con le città del Valdarno e della costa tirrenica vendendo legname per l’edilizia e i cantieri e inviando legname via fiume dal Ponte a Poppi.