Si chiama “Wiegenlied”, vale a dire “ninna nanna”, ed è una delle tante canzoni composte dalla poetessa ebrea Ilse Weber (che si fece deportare ad Auschwitz volontariamente assieme ai bambini di Terezin di cui si era presa cura e lì fu uccisa con un suo nipote), un’opera preziosa che tornerà in vita il 26 gennaio al Mandela Forum. Salvata dall’oblio grazie al marito che sotterrò fogli e spartiti sotto una baracca di un campo di concentramento non distante da Praga – campo che da ‘ghetto modello’ ha accolto dal 1941 al 1945 artisti, attori, musicisti ma soprattutto tanti bambini ebrei – le musiche di Ilse Weber rivivranno a Firenze in occasione del Giorno della Memoria.
La prima cosa da sapere sul ghetto di Terezin è che fu utilizzato dai nazisti a scopo propagandistico. Era uno specchietto per le allodole da usare nel caso di ispezioni della Croce Rossa. Doveva mostrare al mondo la benevolenza di Hitler e quando gli ispettori davvero arrivarono i nazisti pensarono bene di sfruttare le capacità artistiche ed espressive dei bambini che vi erano reclusi, a cui fu chiesto di illustrare le “meraviglie” della città. I visitatori furono fatti assistere ad una rappresentazione di “Brundibar”. Una macabra finzione: 7.500 persone, tra cui centinaia di bambini, erano state deportate ad Auschwitz alla vigilia della visita proprio per far sembrare il luogo meno sovraffollato, altri ci finirono dopo. La logica era la stessa che portò alla realizzazione a Birkenau in Polonia di uno spicchio di campo a uso e consumo degli ispettori internazionali o di un settore destinato a Rom e Sinti, smantellati un giorno dalla notte alla mattina e senza preavviso. Crudeli finzioni come i treni di prima classe che portavano a Treblinka, sessanta chilometri da Varsavia, con passeggeri convinti di raggiungere un paese neutrale e perfino una finta stazione e false destinazioni in testa ai binari, che non arrivavano invece in alcun luogo. Dietro la stazione c’erano le camere a gas, capaci di inghiottire fino a diecimila persone al giorno.
Ma anche nell’inferno dei campi una ninna nanna era di conforto, e anche per noi è prezioso poter rivivere un frammento di quei momenti grazie al recupero e all’esecuzione della ninna nanna composta per l’ultima notte a Terenzin, che tornerà a suonare al Mandela di Firenze il 26 gennaio grazie all’impegno di Enrico Fink, quarantotto anni, tra i principali interpreti della tradizione ebraica italiana, e dalla sua orchestra multietnica. Il suo bisnonno era arrivato ai primi anni del ‘900 in Italia dalla Russia, in fuga dai progrom zaristi. Si fermò a Ferrara, dove diventò cantore durante i riti, prima di finire cancellato dalla furia nazifascista con gran parte della sua famiglia. Enrico è nato invece a Firenze. Per l’interpretazione della ninna nanna di Ilse verranno impiegati strumenti originali dell’epoca, costruiti proprio di Terezin.