Robert Johnson, Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Kurt Cobain, Amy Winehouse…cos’hanno in comune queste icone del rock? Semplice, sono tutti morti a 27 anni dando vita alla leggenda del famigerato “Club dei 27”. Per indagare quanto ci sia effettivamente di vero in questo mito del mondo della musica arriva il libro “Rock’n Roll Noir” della scrittrice Elisa Giobbi già autrice di “Firenze suona” libro sulla scena musicale e artistica fiorentina.
Ciao Elisa! Come ti è venuta l'idea di scrivere un libro sul club dei 27?
Nonostante quasi tutti sappiano che Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain ed Amy Winehouse sono scomparsi alla giovane età di 27 anni per abuso di sostanze, e nonostante ci sia una letteratura copiosa sul tema di queste giovani morti, in Italia non è mai stato pubblicato un testo non dico autorevole ma almeno affidabile dedicato esclusivamente al cosiddetto Club 27. Ho voluto approfondire le circostanze e i motivi che hanno portato questi eroi della musica a perdersi così presto, scandagliando le loro vite, evidenziando i numerosi tratti che accomunano i loro percorsi esistenziali e musicali e soffermandomi anche sui capostipiti del Club, ovvero Robert Johnson e Brian Jones, meno noti alla vulgata, oltre a una cinquantina di altri musicisti meno famosi ma assai interessanti, scomparsi tutti alla stessa età, e, nella maggioranza dei casi, per le stesse ragioni.
Come hai scelto i musicisti di cui racconti la storia?
Ho chiamato Robert Johnson, Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, Kurt Cobain ed Amy Winehouse “i magnifici 7” perché sono icone del rock che con la loro musica e il loro stile hanno indubbiamente segnato la storia della musica contemporanea, artisti innovativi che hanno rappresentato il riferimento di intere generazioni. A ciascuno di loro dedico un intero capitolo. Il capitolo finale è dedicato a tutti quei musicisti “27s” che hanno riscosso meno successo dei magnifici 7, pur condividendone la triste sorte: dal pianista Alexandre Levy morto nel 1892 a Tomas Lowe dei Viola Beach, morto a febbraio di quest’anno.
Una delle morti più recenti nel mondo della musica è stata quella di Amy Winehouse, raccontata anche nello straziante documentario di Asif Kapadia "Amy". Tutti ancora oggi si chiedono se non fosse possibile evitare questa morte e quale sia stato il ruolo dei media in questa brutta storia. Te che idea ti sei fatta?
Evitare la morte di Amy? Chi può dirlo…Posso solo cercare di fare una sintesi di quanto racconto nel libro: Amy ha sofferto di disturbi della personalità praticamente da sempre. In seguito al divorzio dei genitori ha sofferto anche di disturbi dell’alimentazione e di dipendenze, e non di rado i suoi comportamenti erano autolesionistici. Per non parlare del rapporto malato con gli uomini e di quello con la bottiglia, che l’ha definitivamente uccisa. I media e il “circo musicale” (discografici ed etichetta) hanno fatto il resto. Raccontando la sua vita e la sua morte non faccio nessuno sconto ai genitori, a Blake - il suo grande amore - né tanto meno ai paparazzi e alla stampa.
Il 2016 è stato un 'annus horribilis' per le morti nel mondo della musica, un nome a cui sei particolarmente legata?
Senza esitazione ti faccio il nome di David Bowie, in assoluto una delle mie più grandi passioni musicali da sempre. Ricordo perfettamente che quando ho appreso la notizia della sua scomparsa sono rimasta senza parole: dal mito ti aspetti l’eternità. Ti confesso che non ho potuto trattenere le lacrime…e non mi succede spesso. Ma anche la scomparsa di Prince, grande genio della musica e sublime chitarrista ha rappresentato una grave perdita. E poi uno dei miei artisti preferiti: il grande Leonard Cohen, uno dei più eleganti e poetici di sempre.
Come mai secondo te ancora oggi le rock o pop star sono vittime del successo?
Quelli dello show business ad altissimi livelli sono meccanismi per pochi eletti. Nel libro cito Mick Jagger che, a proposito della misteriosa morte di Brian Jones, fondatore degli Stones, affermò che non tutti hanno (come lui) la capacità e la resistenza di restare grandi rockstar per quarant’anni; pochi sono psicologicamente tagliati per questo tipo di vita sempre al limite. I ritmi a cui sei sottoposto, le pressioni delle case discografiche, la musica e le tournée vissute come routine, lo stile di vita costantemente al massimo…Negli anni Settanta soprattutto negli Stati Uniti tutto questo era amplificato dall’uso smodato delle droghe, che hanno ucciso molti musicisti, non solo Hendrix, Janis Joplin e Morrison. Ma spesso, anche nei decenni successivi e non solo in America, si è creato un corto circuito letale; l’onda lunga delle droghe ha lambito il nostro Paese negli anni Ottanta. “Rock’n’roll Noir” racconta anche questo: quello che si nasconde sotto la luccicante patina d’oro che riveste il rutilante show business. Basta scalfire un po’ questa patina perché ci siano rivelati i tormenti che hanno accompagnato l’intera vita di tanti giovani semidei della musica che ci hanno regalato canzoni eterne. Sacrificandosi sull’altare del rock.
Lunga vita al Rock'n Roll!