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‘Le formiche non hanno le ali’: come rinascere dopo la violenza

Intervista a Silva Gentilini autrice del libro che racconta la storia di due donne toscane che trovano il coraggio di ribellarsi a molestie e soprusi

/ Costanza Baldini
Lun 5 Marzo, 2018

Nata all’inizio degli anni sessanta, Emma cresce fra i soprusi di un padre bipolare che sottomette la famiglia alla violenza delle sue continue crisi. Ai primi del Novecento Margherita, una ragazza di umili origini, fugge da una madre insensibile e perbenista.Le formiche non hanno le ali” è il romanzo di Silva Gentilini che racconta le storie di Emma e Margherita due donne legate dalla stessa sorte: essere costrette ad abbandonare il primogenito avuto in giovane età e in situazioni drammatiche. A unirle la difficoltosa ricerca dei figli e la forza che troveranno in loro stesse per sopravvivere al peso del proprio dolore. A separarle i tempi, i luoghi e, soprattutto, le motivazioni che stanno dietro a quell’abbandono. Quella di Emma è una storia autobiografica, vittima di violenza sessuale da parte del padre, Silva Gentilini ha deciso di rompere il velo del silenzio e raccontarla. Ecco la nostra intervista.

Ciao Silva! 'Le formiche non hanno le ali', è un romanzo che si divide in due segmenti temporali, uno a inizio Novecento sul Monte Amiata e poi a New York e uno nel 1969 a Cusa, sempre in Toscana, com'è nata l'idea di scrivere la storia di queste due donne: Margherita e Emma?
Sono due storie totalmente autobiografiche, ispirate a due vite reali, una quella di Emma a Cusa che è il nome di fantasia del luogo dove sono nata e dove vivo ancora cioè Orbetello vicino al Monte Argentario, è ispirata ala mia vita, tutto quello che succede è vero nella quasi totalità. Il romanzo è scaturito da una storia piuttosto forte che appartiene al mio passato, una storia di violenze e abusi familiari, mai attuale come oggi. Emma quindi è la mia alter ego. I nomi sono tutti di fantasia tranne uno, quello di Margherita, ovvero l'altra storia che percorre in parallelo il libro. Margherita è il nome della mia bisnonna materna che è nata a Santa Fiora, a 16 anni ha abbandonato mio nonno alla ruota degli orfani, con passaggi di fortuna è arrivata a Genova e poi è partita per New York. Lì ha avuto altri matrimoni e altri quattro figli oltre mio nonno. Poi l'ha adottato regolarmente quando lui aveva 12 anni. La storia di Emma l'ho scritta cinque anni fa, piaceva molto ma era troppo claustrofobica, allora dato che avevo scritto un racconto su questa mitica figura della bisnonna Margherita, ho deciso di unire queste due storie, romanzandole e facendole andare di pari passo.

Possiamo dire che questo romanzo è stato una catarsi rispetto a quello che ti è successo?
Indubbiamente, è stato molto catartico scriverlo. Il mio disagio, chiamiamolo così usando un eufemismo, ha sempre trovato una via di fuga nello scrivere, fin da quando ero più giovane. Faceva capolino ovunque, ma avevo bisogno di tempo per sedimentarlo. Aver subito degli abusi è fonte di vergogna e senso di colpa anche nelle persone più evolute, è un meccanismo naturale e umano. A pochi giorni dalla pubblicazione del romanzo sono andata in tilt, mi sono resa conto solo allora che davo in pasto una parte di me, questo mi ha più volte fatto vacillare. Ma sono contenta di averlo scritto anche per mandare un messaggio a tutte le bambine, le ragazze, le donne. Volevo dire alle persone che sono vittime di abusi che si può sempre rinascere e ricostruirsi. Quando faccio le presentazioni in molti mi dicono che mio babbo sembrava una persona ‘tanto perbene’. Nessuno vuole mai dire che ci sono delle persone 'per male', che esistono dei disturbi spesso non riconosciuti neanche adesso, figuriamoci 50 anni fa quando la storia inizia. Purtroppo quello che noi vediamo dal di fuori, spesso è diverso dalla realtà. La verità è una cosa difficile da captare e tante cose accadono sotto i nostri occhi, senza che noi ce ne accorgiamo.

Leggendo il tuo libro riflettevo sul fatto che anni fa, le violenze sulle donne erano in qualche modo socialmente accettate. È un qualcosa che le donne ‘dovevano sopportare’. Adesso forse, per fortuna, non è più così. C'è una ribellione in atto nei confronti di violenze di tanti tipi diversi. Cosa ne pensi?
I tempi sono molto cambiati, la violenza accade ancora, però dalla società non viene più accolta. Ci sono frange di estremismo o analfabetismo psicologico che la supportano, ma ci sono anche tanti percorsi come le Case per le donne che possono aiutare. Non sempre sono facili e snelli, quando si è dentro a un sistema di violenza, ma ci siamo ormai affrancate dal fatto che sia normale che tuo padre, tuo marito, il collega di lavoro ti molesti. Leggendo i fatti di cronaca di questi giorni mi dispiace che non ci sia ancora un modo per fermare la violenza. Io parlo da soggetto abusato, dobbiamo trovare un modo per aiutare le donne che lanciano grida d'aiuto, che denunciano, un modo per proteggerle.

Nel romanzo scrivi che volevi essere una formica per la loro caparbietà, per la loro forza e testardaggine, ma non c'è anche molto di più nella tua storia e in quella della tua bisnonna? Io ci vedo anche un grandissimo coraggio, sarebbe stato facile abbattersi, andare in depressione, invece tutte e due avete avuto una grande ‘resilienza’
È vero, in una buona parte della mia personalità, del mio carattere c'è un po' della mia bisnonna che ha attraversato l'Oceano nei primi del Novecento, da sola, quando era una ragazzina, in un'età in cui teniamo le nostre figlie ancora coccolate, a casa. Ma se hai ben visto ci sono altre tre figure familiari che vivono con Emma, la mia nonna, mia mamma e mia sorella. Ognuna di loro ha vissuto questa cosa in modo diverso. Io andavo spesso a vedere dei formicai vicino a casa mia a Porto Ercole. Questi insetti così piccoli sono alla mercè di chiunque voglia spiaccicarle, eppure portano oltre cento volte il loro peso, sono operose, si danno da fare, ricominciano, si organizzano. Era quello che io volevo vedere dentro la mia famiglia, ma non era facilissimo. Mia mamma e mia nonna sono due figure molto dolci ma molto fragili. Ognuno ha il proprio carattere e le cose le vive e le metabolizza usando la propria personalità. Le formiche non hanno le ali ma possono volare. La resilienza delle donna c'è, esiste da sempre, noi siamo quelle in grado di lavorare per tutta la famiglia e sopportare emotivamente  cose anche gravi. Le donne devono capire con più consapevolezza che sono caparbie, testarde, capaci e tirare fuori la forza e il coraggio che sono dentro ognuna di noi.

Per comprare il libro:
http://www.mondadoristore.it/Le-formiche-non-hanno-le-ali-Silva-Gentilini/eai978889181385/