Cultura/ARTICOLO

"Mio nonno era comunista" Il romanzo di Monica Granchi

Viaggio nei primi quarant'anni di una donna legata alla sua città, Siena, e che ha visto famiglia e Partito fondersi in maniera indissolubile

/ Samuele Bartolini
Mar 10 Dicembre, 2013
monica granchi
Il volontariato alle Feste dell'Unità e il senso di appartenenza al Partito dove si respirava l'onestà e la solidarietà tra fratelli. L'anoressia e l'amore-odio per quella zia che riusciva sempre ad apparire più bella, a fare le cose meglio. E poi la scoperta della libertà, il vivere di arte in una famiglia affollata da mamme nonni bisnonni, e la voglia di fare quello che ci si sente nonostante la crisi. La lettura di “Mio nonno era comunista”, edizioni Effigi, regala questo e molto altro. E' il breve romanzo autobiografico di Monica Granchi, scrittrice 45enne impiantata nella vita culturale di Siena come organizzatrice di festival e promotrice di un'etichetta musicale indipendente.

Granchi usa il metodo del flusso di coscienza. O perlmeno è così che scorre il racconto di fatti e personaggi che attraversano la sua vita. Emozioni e ricordi si rincorrono saltando da un tempo di bambina che vive in un mondo di fantasia alla magrezza dell'adolescenza e i suoi incubi di bellezza fino ai quarant'anni da disillusa di una sinistra che non c'è più.

Siena è stata la città più rossa d'Italia e il Partito Comunista era come una famiglia che non s'identificava solo con la vecchia sezione di via del Curtatone, ma con il nonno materno – scrive Granchi - “che aveva fatto il muratore e molti altri faticosi mestieri; ma era lì, nella Federazione, che il suo ruolo, almeno per quel che riguarda il suo ruolo nella mia vita, si faceva chiaro”. Un nonno intransigente, idealista, che diffidava degli intellettuali e provava repulsione per tutto ciò che puzzava di America.

Le pagine del libro si soffermano più volte sull'anoressia. “Mi sentivo incompresa. Chiusa in una vita claustrofobica. Non avevo ancora mostrato di sapere fare niente ed ero bruttina. Però avevo un bel fisico: ero alta e snella. Più magra di mia zia. Così cominciò tutto. Presi a mangiare di meno”. E ancora. “Guardavo con orgoglio la mia immagine riflessa: la pelle trasparente, le ginocchia distanti tra loro, il seno impronunciato, il bacino evidente nella forza delle ossa. Era la mia vittoria. E quella segretezza la rendeva più eccitante”.

Ma è l'idea di sinistra che oggi vacilla. Anche a Siena dove il partito non si chiama più comunista e il suo erede annacquato ha trovato sede nella zona commerciale della città. “Manca il coraggio”, dice Granchi al telefono. “E anche a Siena forse oggi è arrivato il momento di cambiare”. Che di quelli come suo nonno non ce ne sono mica più. “Ma di sicuro – chiude il romanzo - sarebbe lo stesso uomo”. E questo rende la scrittrice meno confusa.