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Nel Piccolo Museo di Mario, 'vive' ancora la tradizione contadina

Ai piedi del monte Beni, Mario Mantelli ha aperto una sorta di mausoleo del lavoro nei campi: dal trabiccolo agli aratri ai picconi utilizzati per la Faentina. E lo fa per passione.

/ Giulia Rafanelli
Mer 9 Agosto, 2017

120 abitanti o poco più che raddoppiano in estate perché figli e nipoti “espatriati” in città non mancano mai di tornare a godere del fresco e della cordialità della frazione sulla Ss 65 della Futa, tra l’omonimo Passo e quello della Raticosa, ai piedi del monte Beni. Covigliaio, a quasi 900 metri di altezza dista circa 9 km da Firenzuola, una metropoli al confronto. È qui, in questo borgo gioviale, che Mario Mantelli ha aperto “Il Piccolo Museo”: una sorta di mausoleo della vita e del lavoro nei campi.

Nel museo di Mario ci si entra con riverenza, quasi come a non voler disturbare la vita che si ha la sensazione che lì si sia appena svolta.

Qualcuno ha apparecchiato la tavola. Il sole sta calando e gli uomini rientreranno affamati da una giornata passata a trebbiare il grano. Il letto è già pronto, c’è il trabiccolo (o prete, come lo si voglia chiamare) pronto per essere acceso una volta che il sole sarà calato. Alle pareti foto di ieri e di oggi, nelle due stanze di cui si compone il museo convivono attrezzi da granaio, da fabbro, da maniscalco, da falegname, da ciabattino.

La domanda viene spontanea: Da dove arriva tutto questo?In gran parte sono attrezzi che erano di mio padre – racconta Mario che ha 80 anni e il museo lo ha allestito in quello che un tempo era il fienile del padre - quando sono andato in pensione ho pensato di fare un po’ d’ordine e di esporre gli arnesi che avevamo ammassati, poi è cresciuto l’interesse da parte delle persone che piano piano hanno iniziato a portarmi anche i loro strumenti da lavoro”. In poco tempo il piccolo museo ha iniziato ad ospitare non più soltanto le zappe, i picconi (alcuni dei quali sono quelli originali usati durante la costruzione della linea ferroviaria Faentina), i vomeri e gli aratri della famiglia Mantelli, ma quelli di molti compaesani e dei vicini contadini della valle del Santerno. “Visitatori? Si ne vengono abbastanza – riprende Mario – poi ci sono gli affezionati che vengono anche solo per fare due chiacchiere”. Intorno al museo si sono create collaborazioni e quel “darsi daffare” che sempre più spesso si ritrova soltanto nelle piccole comunità, specialmente montane. Uno dei frutti di questo dinamismo è la festa della battitura che si tiene in estate ormai da qualche anno, in località Palventa, nel grande campo antistante il Piccolo Museo. Due giornate in cui si ripropone il rituale originale della battitura. Quest’anno la festa della battitura si è tenuta durante l’ultimo week end di luglio con canti e danze e tante persone in visita.

Spero solo che tutto questo possa andare avanti anche in futuro – ci dice Mario -  non posso non pensare al fatto che ho 80 anni e non so cosa succederà quando io non ci sarò più”. Vagliando varie ipotesi su come preservare il futuro del museo, la prima è quella di accrescere l’offerta turistica della zona avvicinando visitatori e l’interesse delle amministrazioni locali (Mario gestisce il museo avvalendosi solo dei contributi volontari) a fare leva sulla vicinanza di Covigliaio alla Via degli Dei che ogni anni richiama oltre 6500 appassionati di trekking e di cammini.

La Via degli Dei, lo ricordiamo, è un percorso di trekking di 130 km che collega Firenze e Bologna e che non passa poi così distante da Covigliaio. Mario, dal conto suo, ha già creato un “ponte” tra le due città: alla festa della battitura, tra i vari espositori, oltre ai produttori di farro della zona, c’era anche Dino Naldi, un trebbiatore emiliano che oggi impiega il tempo libero della pensione ricreando i macchinari che venivano usati – e che lui stesso usava - per lavorare il grano (e non solo). Piccoli gioielli di ingegneria curati nei minimi dettagli riprodotti con i materiali “originali”. “Col ferro dove serve il ferro, col legno dove serve il ferro” – precisa Dino Naldi che ha chiesto di esporre alla Palventa per il semplice gusto di contribuire, così come fa il Piccolo Museo, alla narrazione storica della vita agricola

Di vendere i suoi modellini, Dino non ne vuole sapere anche se “le ore di lavoro” non sono poche.

Quanto tempo impiega a realizzare questi modelli? “Dipende – risponde Dino - alcuni sono complicati perché hanno molti ingranaggi come questa trebbia che ha richiesto circa 8/10 mesi. Questo qui (e mostra una lunga trebbia gialla in scala) non è ancora finito ma è già un anno che ci lavoro”.