E' dai tempi di Mario Monti presidente del Consiglio che si parla di luce in fondo al tunnel. La metafora, rilanciata negli anni da numerosi titoli di giornali, ha annunciato più volte la fine della crisi. Poi però sono arrivati i dati sulla chiusura delle aziende, i locali hanno tirato giù le serrande, i consumi sono calati a picco, e tutto è naufragato in una grande paura per il futuro. Sono lunghi sei anni di recessione. Eppure pare che qualcosa si stia muovendo, almeno in Toscana. Le aziende cambiano pelle, usano più tecnologia, usano forme più flessibili di lavoro. Una nuova forma di capitalismo fa capolino dietro l'angolo. Che sia la volta buona per una ripartenza? Lo abbiamo chiesto in un'intervista esclusiva a Stefano Casini Benvenuti, direttore dell'Irpet.
Nonostante la crisi, il 32% delle imprese toscane ha aumentato l'occupazione. Quante sono in termini numerici, in quali settori operano, perché queste aziende ce la fanno e il resto no?
Il totale delle imprese manifatturiere toscane sono circa 49 mila, quindi le imprese che hanno continuato ad assumere sono circa 15-16 mila. Operano un po' in tutti i settori dalla moda - soprattutto pelletteria - alla carta, dalla chimica alla farmaceutica, dai macchinari all'elettronica. In ognuno dei suddetti settori c'è un nucleo di imprese che nell'ultimo anno ha assunto. Nel nostro lavoro abbiamo in realtà citato circa 3200 imprese che invece, nell'intero arco della crisi - dal 2008 ad oggi - sono riuscite ad accrescere occupazione e fatturati: quindi la persistenza di buoni risultati ci fa ritenere che si tratti di imprese eccellenti.
Perché queste 3200 imprese vanno meglio del resto dell'economia?
Perché esportano o sono legate ad imprese che esportano, quindi se per anni continuano a resistere e crescere evidentemente sono anche innovative. Non si può continuare ad esportare se non si propongono prodotti di qualità.
Ci sono 995 imprese "gazzella" con performance del 20% sopra la media. Sono "gazzelle" che poi muoiono e ne nascono altre? Che caratteristiche hanno? Anche qui, in quali settori? Quanti addetti impiegano?
Il termine gazzella ha una definizione molto precisa. Si parte dalle imprese definite high growth e sono le imprese con almeno 10 addetti che per tre anni di seguito hanno aumentato l'occupazione ogni anno del 20%. Le gazzelle sono solo un sottoinsieme di queste imprese. Sono quelle più giovani, nate solo da 4-5 anni. In realtà le 995 imprese sono le high growth che stanno nel manifatturiero (295), nel terziario (600) e la parte restante tra agricoltura e costruzioni. In tutto occupano 49 mila dipendenti ed hanno una dimensione media attorno ai 50 addetti.
Quale indicazioni si può trarre da questi movimenti?
Che ci muoviamo verso forme di capitalismo più avanzate, in cui si mantiene un certo equilibrio tra l'esigenza di mantenere i margini di elasticità che da sempre il mondo della piccola impresa ha saputo garantire e quella invece di essere più strutturate per affrontare con maggiori risorse i problemi legati alla capacità di innovare e di collocarsi su mercati spesso anche molto distanti. Nonostante la crisi abbia gravemente colpito anche l'economia toscana ed il suo settore manifatturiero, esiste un nucleo ristretto di soggetti che ha saputo reagire con successo. Si tratta di soggetti che evidentemente hanno capito prima di altri il nuovo clima a livello internazionale e hanno trovato il modo di essere competitivi. Ciò che si rileva non è tanto quello che si produce, ma come lo si produce.
L'alta tecnologia è il must per tutte le aziende?
No. Occorre rifuggire da certe analisi che parrebbero indicare che solo quando si produce alta tecnologia si può avere successo. L'alta tecnologia va innanzitutto usata e inoltre si deve porre sempre più attenzione alla qualità della produzioni, alla affidabilità dei servizi collaterali.
Un esempio di tradizione e innovazione?
La pelletteria. E' uno dei prodotti più tradizionali che si possa immaginare, ma il suo successo è legato proprio alla qualità delle prosuzioni, all'esistenza di imprese leader, ma anche di una rete di subfornitori di qualità. E' certamente l'esempio più visibile, ma ve ne sono altri in attività meno evidenti.