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Pisa: ecco come il cervello riconosce le azioni altrui

Lo studio pisano è il primo passo verso lo sviluppo di protesi robotiche controllabili col pensiero

/ Redazione
Ven 16 Ottobre, 2015

Immaginate di vedere qualcuno che avvicina la mano a una tazza. Sarà per prenderla, buttarla in terra o semplicemente spostarla? Istintivamente lo sappiamo ma ignoravamo perché, e la spiegazione di come il cervello riesca a operare simili distinzioni è stata appena pubblicata sulla rivista internazionale Human Brain Mapping, che ha dedicato la copertina al gruppo di ricerca dell’Università di Pisa capace di rispondere a questa domanda. Il gruppo, guidato dal professor Pietro Pietrini – docente e direttore dell’Unità operativa di Psicologia clinica dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana – ha portato a termine lo studio in collaborazione col gruppo dell’Università di Modena e Reggio Emilia guidato dal professor Paolo Nichelli.

Finora si riteneva che il nostro cervello avesse delle regioni limitate per distinguere le diverse classi di azioni: per esempio i gesti comunicativi (salutare muovendo la mano), dalle azioni rivolte agli oggetti (afferrare una tazza). La rappresentazione dei vari movimenti è in realtà più complessa e impegna diverse aree della corteccia cerebrale tra loro interconnesse. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale gli studiosi hanno misurato l’attività cerebrale in un gruppo di individui mentre questi osservavano filmati di diversi tipi di azioni compiute da terzi. I ricercatori hanno dimostrato che ogni tipologia di movimento induce un pattern specifico di risposta neurale che può essere decodificato utilizzando tecniche di lettura del pensiero.

"Questi studi mostrano che è possibile arrivare a misurare un vero e proprio codice neurale del pensiero. Comprendere l’organizzazione della rappresentazione cerebrale delle azioni – spiega il professor Pietrini – ha importanti implicazioni per lo sviluppo di nuove strategie riabilitative in pazienti con lesioni cerebrali, si pensi per esempio a coloro che hanno avuto un ictus. E se saremo in grado di definire mappe cerebrali più dettagliate e precise, allora potremo sviluppare protesi artificiali o robotiche controllabili direttamente col pensiero".