La protezione civile? È un patto stretto con la comunità. Di questo sono convinti molti sindaci della Toscana. Molti, certo. Ma non tutti. Perché questa materia, così sensibile e delicata, ha bisogno di essere alimentata attraverso la promozione della cultura, della formazione e (non ultima) di una buona e corretta informazione. Anche in tempo di pace. "Quello che manca nel sistema è proprio la consapevolezza degli amministratori e dei cittadini" dice Paolo Masetti, geologo e disaster manager delegato per la protezione civile sia in Anci nazionale sia in Anci Toscana. "Molti dicono: pago le tasse, quindi in caso di emergenza ci pensa lo Stato. Ecco, questo è un ragionamento sbagliato. Siamo tutti operatori di protezione civile. E un sindaco, quando indossa la fascia tricolore, non riceve solo l’onore, ma ha anche l’onere di sopportare tutte le conseguenti responsabilità".
Un tema vero, oggi ancor più di ieri. Perché il nuovo codice che regolamenta la protezione civile - il decreto legislativo, quasi fosse di buon auspicio, dopo un complesso iter è stato approvato in extremis e ora è il numero 1 del gennaio 2018 - pone una questioni inedita e per certi aspetti rivoluzionaria: oltre che ai sindaci, la nuova legge attribuisce una responsabilità diretta ai cittadini, trasformandoli in veri e propri attori dell'autoprotezione in caso di eventi estremi come terremoti o alluvioni.
Fenomeni non improbabili in un Paese fragile come l'Italia e in una regione come la Toscana che in più di un'occasione, non solo nella storia recente, ha dovuto fare i conti con lutti drammatici e danni ingenti. "Con questo nuovo codice abbiamo introdotto una cosa rivoluzionaria: la realtà" aggiunge Roberto Giarola, direttore dell’ufficio volontariato e risorse del Dipartimento nazionale di Protezione civile, parlando della legge che di fatto è entrata in vigore solo pochi giorni fa.
Anche di questo si è discusso alla Scuola Normale di Pisa. Merito del convegno internazionale sulla protezione civile nei nuovi scenari di rischio alluvionale, organizzato nell’ambito del progetto "Proterina 3 Evolution", finanziato dal Programma Interreg Italia-Francia Marittimo. Obiettivo: rafforzare la capacità di risposta del territorio al rischio derivante dalle alluvioni attraverso la costruzione della consapevolezza delle istituzioni e delle comunità. Molti i partner del progetto, a partire dai capofila Fondazione Cima e Anci Toscana.
In questo contesto la regione la nostra regione si è confrontata con Sardegna, Liguria, Corsica e Francia. Tanti i punti comuni, a cominciare dal concetto di “tutela”, così profondo e indispensabile. Ma cosa ci differenzia dagli altri paesi? Dire la lingua sembrerebbe una banalità, ma non è così. Basti pensare al concetto di "dissesto idrogeologico" che, come ha ben spiegato Nicola Casagli del dipartimento Scienze della terra dell'Università di Firenze, esiste solo in italiano. Nelle altre lingue è intraducibile. Non si tratta solo di un problema semantico, ma di un bisogno: quello di attribuire un'etichetta a un fenomeno. Anche se, quando parliamo di frane, scopriamo che ci sono (e si utilizzano) almeno 34 parole equivalenti. Altrettanto vale per le alluvioni.
Del resto questo è un fenomeno con cui siamo costretti a fare i conti. Più che i media, a raccontarlo sono i numeri. Secondo quelli forniti da Casagli, in Italia ogni anno ci sono più di 1.700 frane, ovvero circa 5 al giorno e più di 12mila dal 2011 al 2017. Se invece parliamo di alluvioni, be', non va molto meglio: più 1.300 l'anno, circa 4 al giorno, ben 9200 nello stesso periodo preso in esame.
Ecco perché, in un contesto così complesso, sono necessari strumenti e metodi. "Dopo l'approvazione di questa nuova legge ci troviamo di fronte a una sfida. Non abbiamo più scuse" spiega in chiusura Fabrizio Curcio, ex capo della Protezione civile e ora consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri. "La sicurezza? È un costo, anche di libertà".