È di tre ricercatori dell’Istituto di Economia del Sant’Anna la prima ricerca sugli effetti del JobsAct, e i risultati che ne emergono non sono molto rassicuranti. Lo studio firmato da Dario Guarascio, Marta Fana e Valeria Cirillo si intitola “Labour market reforms in Italy: evaluating the effects of the Jobs Act”, e analizza le conseguenze della riforma del mercato del lavoro, originariamente varata con l’intento di promuovere l’occupazione e ridurre la quota dei contratti temporanei e atipici ma che, secondo l’analisi dei ricercatori del Sant’Anna, “nel primo e nel secondo trimestre del 2015” mostra “una massiccia transizione dalla disoccupazione all’inattività”. Inoltre, tra gennaio e luglio 2015 soltanto il 20 per cento delle nuove assunzioni è stata caratterizzata dalla stipula di un contratto a tempo indeterminato.
Di più: lo stipendio dei nuovi assunti con il contratto a tutele crescenti risulta in media più basso dell’1,4 per cento rispetto a quanti sono stati assunti un anno prima col “vecchio” contratto a tempo indeterminato. Si nota poi come l’introduzione delle tutele crescenti coincida con l’aumento dell’incidenza dei contratti a termine tra i nuovi assunti, al contrario diminuiscono i rapporti “stabili”, cioè a tempo indeterminato. “È bene notare – ricordano gli autori dello studio – che un aumento generale nella quota di contratti a tempo indeterminato si può osservare in un breve periodo tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015. A sorpresa, da marzo 2015 l’aumento del tempo indeterminato comincia a invertirsi a ritmi rapidi. Infatti, il 63 per cento dei nuovi lavoratori, nei primi nove mesi del 2015, hanno un contratto a termine”. Una possibile spiegazione del “calo dei contratti a tempo indeterminato può essere legata all’ulteriore liberalizzazione nell’uso dei contratti a termine prevista anche dal Jobs act”.
Con la riforma del mercato del lavoro si è assistito anche all’aumento dell’uso del part-time. “Questi contratti sono più diffusi all’interno dei nuovi contratti stabili che in quelli a termine”, mentre si è assistito anche alla liberalizzazione e all’aumento di quello che viene definito il “lavoro atipico”, per il quale “un ruolo di rilievo è giocato dai voucher. Benché questo trend non rappresenti una novità, il Jobs act non ne ha saputo rallentare l'andamento. Durante i primi nove mesi del 2015 – concludono i ricercatori – oltre 81 milioni di buoni lavoro sono già stati venduti, facendo registrare una crescita annuale del 70 per cento”.