Cultura/ARTICOLO

‘Sconnessi e contenti’: come sopravvivere senza smartphone

Cosa succede se per cinque giorni a una classe di adolescenti viene tolto il cellulare? Ha provato a rispondere a questa domanda l’esperimento didattico di Ilaria Mavilla

/ Costanza Baldini
Gio 4 Gennaio, 2018
Foto di Lorenzo Guasti

Viviamo in un’epoca in cui i bambini imparano prima a usare il cellulare che a camminare. I ‘nativi digitali’ ovvero la generazione di chi è nato e cresciuto in corrispondenza con la diffusione delle nuove tecnologie informatiche, non possono più vivere separati dal loro smartphone, al punto che iniziano a svilupparsi delle vere e proprie patologie legate alla dipendenza dai social network.

“Nomofobia” da no-mobile-phone è la fobia legata all’eccessiva paura/terore di rimanere senza telefono e senza connessione a internet. Il termine "like addiction" indica quando si è disposti a tutto per ottenere dei like, arrivando persino a fare selfie o foto estreme. Il fenomeno del "vamping" consiste nel rimanere svegli tutta la notte per inviare sms e tweet, chattare su WhatsUp e Snapchat, postare commenti su Facebook o foto con Instagram. Si chiama così perché come i vampiri che si aggirano nelle ore notturne, gli adolescenti aspettano il buio per connettersi in totale libertà e senza limitazioni da parte dei genitori. Infine l’American Psychiatric Association ha coniato il termine "selfitis" cioè la mania di scattare continuamente selfie, indicandolo come un nuovo disturbo mentale.

Cosa succederebbe dunque se a questi ‘nativi digitali’ fossero privati totalmente del cellulare per una settimana? A questa domanda ha cercato di rispondere l’esperimento condotto in alcune scuole fiorentine da Ilaria Mavilla scrittrice e insegnante di sceneggiatura presso la Scuola di cinema Anna Magnani di Prato.

Come è nata l’idea dell’esperimento?
L’idea mi è venuta quando per caso ho letto un articolo che parla di un’esperienza simile fatta in una scuola di Prato. Un professore ha proposto ai ragazzi di fare un esperimento tenendoli una settimana senza il telefono. Inoltre ho letto gli studi di un neuropsichiatra tedesco Manfred Spitzer che ha studiato le conseguenze dell’abuso del telefonino, di internet e della rete per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo, cioè come queste nuove tecnologie incidono nel modo di apprendere. Poi c’è stata anche una mia riflessione personale sull’uso degli smartphone. È un tema che mi sta a cuore perché io stessa ho avuto il mio primo smartphone pochi mesi fa e mi sembra di vedere intorno a me tanti adolescenti che ne fanno un uso massiccio. Ho quindi scritto un progetto che ho proposto a un’associazione che si chiama “Sconfinando” al comune di Firenze tramite il bando ‘Le chiavi della città’ che riguardava proposte progettuali rivolte alle scuole medie e alle superiori. Abbiamo ricevuto sette candidature cinque dalle medie e due dalle superiori, una è stata esclusa quindi l'esperimento sarà affrontato da sei classi. Il progetto sarà attivo per due anni, quindi anche l’anno prossimo le scuole riceveranno la proposta e potranno aderire.

Qual è l’età media in cui un bambino diventa proprietario di un cellulare?
In base alla mia esperienza molti lo ricevono in regalo per la prima comunione a dieci anni, oppure quando escono dalle elementari, qualcuno ce l’ha già dalla quinta elementare. Quindi dai dieci anni in poi i bambini possiedono un cellulare. Ho lavorato in una terza media, e ho visto che a 13-14 anni già ne fanno un uso massiccio.

Lo portano anche a scuola?
Sì, devono però tenerlo spento. Poi lo riaccendono all’uscita di scuola.

In cosa consiste il tuo ‘esperimento’?
Io vedo i ragazzi tre volte. La prima è un incontro introduttivo sul tema della tecnologia, si fa una sorta di brain storming sullo smartphone, e si fa anche un gioco di ruolo teatralizzato in cui interpretano un anziano e un giovane e devono discutere sui pro e i contro dell’uso del cellulare. La seconda volta è quella in cui si toglie il telefono, i ragazzi firmano un contratto di sconnessione e gli viene consegnato un diario. Questo progetto, infatti, ha il patrocinio della Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari che ha fornito centinaia di quaderni-diario che contengono domande e indicazioni che servono a guidare l’esperienza. Io chiedo ai ragazzi di riflettere durante i cinque giorni, su alcuni aspetti della mancanza, su come usano il tempo sottratto al telefono, su come cambia la loro vita. Devono scrivere per rispondere ad alcune domande che li aiutano a focalizzare alcuni aspetti importanti dell’esperienza. Devono fare anche un’intervista a un non-nativo digitale, un parente che abbia vissuto il passaggio dall’era analogica a quella digitale. Quindi vengono a conoscenza di come funzionava prima, perché non ne hanno proprio coscienza. Alla fine dei cinque giorni io li rivedo per l’ultima volta e si condividono i diari. I ragazzi fanno anche un lavoro a coppie. Devono scrivere un racconto breve dal titolo "L'odissea di un disconnesso". Io poi raccoglierò i racconti un piccolo libriccino e il migliore sarà premiato, il premio è simbolico, è una medaglia di cartone.

Cosa imparano i ragazzi alla fine dei cinque giorni?
Per adesso ho fatto il progetto solo in una classe, poi a gennaio partiranno tutte le altre. Quello che è emerso in questa prima sperimentazione è che tutti si sono sentiti molto più rilassati, hanno dormito molto meglio, con una qualità migliore del sonno notturno. Non avendo il telefono hanno usato il tempo per fare cose che di solito non fanno. Hanno letto e studiato di più, guardato dei film e qualcuno ha usato il tempo per scrivere sul diario. Mi sembra che i benefici siano stati piuttosto evidenti per tutti. Quello che imparano è ad auto-regolarsi, acquistano cioè una maggiore consapevolezza su quanto questo strumento incida nella loro vita quotidiana. Lo smartphone è usato per riempire tutti i vuoti, viene usato per giocare, o chattare. Tutti gli spazi liberi della giornata sono riempiti dall’utilizzo di questo oggetto. Non averlo da ai ragazzi la possibilità di sperimentare anche nuove soluzioni di utilizzo del tempo e di intrattenimento. Tutti hanno evidenziato una maggior presenza nella realtà, molti hanno detto ‘ mi è capitato di andare a cena fuori e mi sono reso conto di quanto gli altri fossero chini sugli schermi, mentre io che non avevo il telefono mi sentivo isolato’. Le difficoltà maggiori che tutti hanno riscontrato sono quelle legate alla comunicazione. Senza telefono non sono stati in grado di comunicare tra di loro e non sono riusciti ad organizzarsi per uscire. Anche questo è interessante, senza telefono e senza whattsup non hanno nessun altro modo di comunicare, sono isolati.

Cosa ti ha colpito di più di questa esperienza?
Quello che mi ha colpito subito è la difficoltà di attuare il mio progetto. Il progetto prevede cinque giorni di sconnessione, cioè cinque giorni i cellulari dovrebbero essere tenuti a scuola. Questo ha sollevato grandi obiezioni da parte non tanto dei docenti, quanto proprio dei genitori che non vogliono che il proprio figlio sia sprovvisto di telefono. Vogliono costantemente sapere cosa fanno e dove sono i loro figli. Inoltre la scuola è responsabile di come tornano a casa i ragazzi minorenni, c’è una normativa che prevede che i ragazzi utilizzino il telefono per comunicare all’uscita da scuola per mettersi d’accordo con i genitori sulle modalità del rientro a casa. Io lo capisco, solo che è strano pensare che fino a dieci anni fa era normale organizzarsi senza il telefono. In alcune classi mi è stato proposto di fare una versione edulcorata del progetto in cui il telefono non viene tolto ma viene semplicemente spento oppure gli viene tolto il traffico dati, così non possono utilizzare internet e le app. La mia riflessione è che prima di farlo fare ai ragazzi, dovremmo farlo fare anche ai genitori.

Non si rischia di demonizzare un oggetto che comunque porta all’essere umano anche tanti vantaggi?
Il mio intento non è certo quello di demonizzarlo ma solo di far fare ai ragazzi un’esperienza che li renda più consapevoli. Poi torneranno alla loro vita e torneranno a utilizzarlo come prima, ma forse con una riflessione un po’ più matura. Anche perché i partecipanti acquisiscono la consapevolezza di com’era la vita vent’anni fa. Non ne hanno percezione, con l’intervista e con la privazione del cellulare acquistano un po’ di coscienza storica. Con i ragazzi parliamo anche dei vantaggi del cellulare, i benefici e i motivi per cui è bene utilizzarlo. Bisognerebbe usarlo con consapevolezza e moderazione e cercare di far si che non saturi tutti gli spazi della vita, recuperare la dimensione del rapporto diretto con le persone, del gioco non solo tramite app.

Per contattare Ilaria Mavilla:
mavillailaria@gmail.com
3396141552

Foto di Lorenzo Guasti