Uberto Pasolini è un ex banchiere che ha cambiato strada e da trent'anni lavora nella produzione inglese dando vita a successi come "Full Monty", che racconta la crisi della fine degli anni '80 e della creatività di un gruppo di disoccupati che si improvvisano spogliarellisti e altri film di successo al botteghino del Regno Unito. Da regista ha già firmato Machan, storia vera di un gruppo di cingalesi che si fingono la nazionale di palla a mano dello Sri Lanka per emigrare in Europa.
E ora Still Life, premiato alla Mostra del cinema di Venezia per la regia nella sezione Orizzonti, un film che apparantemente parla di morte, ma che vuole essere anche un inno alla vita. Sicuramente è un film che rappresenta in modo crudo e a tratti aghiacciante la solitudine delle persone nella società contemporanea.
Il film racconta infatti di John May, funzionario di un ufficio comunale che si occupa di trovare i parenti o affini di persone decedute in solitudine. Meticoloso nel condurre il suo lavoro, attento fino alla pedanteria nel cercare di rendere più simile al defunto il suo funerale. Fuori dal lavoro però la sua vita è estremamente di routine e più solitaria delle persone decedute delle quali si occupa.
"Con questo film - ha dichiarato - mi interessava raccontare la condizione di isolamento in cui viviamo sempre più nelle grandi città sia anziani che giovani. Prima di girare il film io non conoscevo i miei vicini di casa, ora li conosco e li frequento. Posso dire che Still Life una cosa l'ha ottenuta, io che sono un solitario, ossessivo e considerato da gli altri glaciale, sono un po' cambiato".
Il mio film non è sulla morte, è sulla vita. L'idea mi è venuta dalla lettura di un'intervista su un quotidiano inglese a uno di questi funzionari comunali, che ha suscitato in me la curiosità di capire di più del loro lavoro. Per sei mesi li ho affiancati nelle loro mansioni, sono stato con loro nelle case dei defunti, ho presenziato alla cremazione o ai funerali di tante persone dove spesso io ero l'unico, a parte l'officiante, perché talvolta neppure i funzionari che hanno organizzato il funerale possono essere presenti, per i loro impegni di lavoro. Quasi tutto quello che si vede nel film l'ho tratto dalla realtà, compreso la signora che scriveva i biglietti di auguri al proprio gatto: se non è solitudine questa.
E siccome la solitudine è già un po' come morire, il film sembra un'esortazione a non lasciarsi scappare ogni occasione per rivolgere la parola e un pensiero al nostro vicino, amico, collega, passante, donna, uomo o animale.