Il coreografo Virgilio Sieni presenta a Venezia in prima assoluta la sua ultima opera, Tristi tropici. Nato nell’ambito del progetto ENPARTS, la rete di collaborazioni avviato dalla Biennale di Venezia con festival e istituzioni europee che operano nel settore dello spettacolo dal vivo, Tristi tropici è coprodotto dalla Biennale di Venezia, Berliner Festspiele - Spielzeit’europa e Bitef Theatre Belgrade cui si affiancano in qualità di collaboratori alla produzione la Biennale de la Danse de Lyon e il Teatro Stabile di Napoli.
Lo spettacolo di Virgilio Sieni prende spunto dall’omonimo testo di Lévi-Strauss del 1955. Il libro è essenzialmente un diario di viaggio nel quale Lévi - Strauss annota le sue impressioni, frammiste a una serie di geniali considerazioni sul mondo. Ne risulta un'autobiografia intellettuale in cui convivono l'esperienza del viaggiatore, la ricerca sul campo e il confronto fra società moderne e primitive.
La musica è una creazione originale di Francesco Giomi, compositore e direttore del Centro Tempo Reale Firenze.
Virgilio Sieni non mette in scena una trascrizione letterale del testo piuttosto la sua attenzione si rivolge all’importanza della figura femminile: in scena due coppie di donne (le danzatrici Simona Bertozzi, Michela Minguzzi, Ramona Caia, Elsa De Fanti) e una ragazza non vedente (Dorina Meta).
Tristi tropici ricalca la struttura dello spettacolo precedente dello stesso Sieni ispirato al De Rerum Natura di Lucrezio: lì tre parti su Venere come fonte di incanto e delizia secondo un’idea coreografica fondata sul senso del clinamen e il rapporto con la fisiologia e lo sviluppo del corpo umano nel corso del tempo, parti racchiuse dall’apparizione profetica, misteriosa e letterale allo stesso tempo di due animali: un cavallo e un cervo.
In Tristi tropici le tre parti aprono a una dimensione in cui le descrizioni di Lévi - Strauss sulle tribù visitate nel Mato Grosso negli anni Trenta si dipanano nelle apparizioni femminili individuate come una presenza “penultima”, secondo un percorso tripartito tra vicinanza animale, tenerezza trasmessa, nostalgia rimasta, che alimentano il senso di quello che l’etnologo definisce “l’opportunità perduta dell’Occidente di restare femmina”.
Questa matrice lucreziana di Lévi - Strauss nelle descrizioni come fonte di incanto che ci indicano la via poetica attraverso le fondamenta della natura, ha guidato il lavoro del coreografo verso una struttura marcata da tre tragitti:
- il corpo invisibile
Meccanismi per rendersi invisibili come tingersi il corpo di nero o cerchiarsi gli occhi. Dorina che non vede, trascrive il suo intorno e sembra sospendere il cammino, “compiere la sua opera nello stesso tempo che chiude la sua prigione”;
- contorno e immagine
Figure che appaiono da lontano, come aloni non definiti, coppie che fanno intravedere un destino, in un peregrinare lungo il sentiero della danza, in cui è necessario fare vuoto e farsi vuoti. Visioni opache, figure nere come sequela di disegni e decorazioni asimmetriche, che nelle gesta di avvicinamento l’una all’altra o nel semplice stare di fianco danno vita ad atlanti minimi, sorta di adagi circoscritti. Figure vicine e dipendenti, coppie che “si stringono nella nostalgia di un’unità perduta”;
- la natura e l’uomo nel suo stare dalla parte dell’animale, della pietà, del “noi”.
Tristi tropici apre all’agonia e al richiamo abbagliandoci di eterna nostalgia, lasciandoci intravedere la sedimentazione del rito nel suo divenire gesto tra affettività e intellettualità, natura e cultura, animalità e umanità.
Così racconta la genesi dell’opera Virgilio Sieni:
“nell'estate 2008 ad Avignone, dopo aver discusso con Giorgio Agamben di danza, cous cous e inoperosità del corpo, ripresi in mano un suo saggio sul bricolage dedicato al settantacinquesimo compleanno di Claude Lévi-Strauss.
Fu li che decisi di lavorare su quegli “straccioni sperduti in fondo alla loro palude” e come il loro abbrutimento aveva tuttavia preservato certi aspetti del passato: aspetti riflessi in decorazioni corporali e facciali di carattere ancestrale e rapporti di parentela tra gerarchie cosmiche e miti.
Corpi e popoli che mostrano un possibile legame con l'inaccessibile indicandoci un barlume di speranza. E ancora una volta ho sentito un forte desiderio rivolto alla danza, non tanto come forma metrica, simbolica, poetica, ma come esperienza dell'inerzia, come esercizio di rianimazione lungo il processo di disintegrazione dell'uomo.
Non possono esserci racconti ma deiezioni fisicamente fraseggiate dei racconti sui gruppi dei Tupi-kawahib, Nambikwara, Caduvei, Bororo fatti da Lévi-Strauss nel suo viaggio intorno agli anni Trenta nelle terre del Mato Grosso (grande Macchia) in Brasile.
Popoli già alla deriva ma ancora vivi dove le “donne nobili” ci richiamano a quella che Lévi-Strauss definisce l'occasione perduta che era stata offerta all'Occidente di scegliere la sua missione”.
Cultura/ARTICOLO
"Tristi Tropici" di Sieni alla Biennale di Venezia
Prima assoluta il 10 e 11 giugno al settimo Festival Internazionale di Danza Contemporanea

Tristi Tropici