Letteratura di viaggio protagonista ad Abbadia Isola, nel comune di Monteriggioni, il 25 novembre, data in cui si terrà la cerimonia di proclamazione dei vincitori del premio letterario 'Sulle orme dei pellegrini - Racconti e parole lungo la Via Francigena', un'iniziativa di Betti Editrice in collaborazione con l'amministrazione comunale.
Un'occasione per aprire uno spazio alla letteratura dedicata allo storico cammino religioso, ma anche un importante itinerario culturale, sinonimo di viaggiare lentamente, con il ritmo del viandante. --> continua a leggere qui
VIAGGIARE CON GLI OCCHI di Riccardo Benucci (SIENA)
SINOSSI DEL RACCONTO “VIAGGIARE CON GLI OCCHI”
Il protagonista del racconto è un giovane emiliano che per anni, assieme alla moglie e a un gruppo di fidati amici, ha programmato di percorrere l’antico e suggestivo percorso della Via Francigena, da San Gimignano a Roma.
Quando poi, una terribile malattia lo colpisce sino a renderlo inerte e paralizzato, il progetto sembra non potersi mai realizzare. Al protagonista, infatti, non resta altro movimento che quello di animare il cursore di un computer con lo sguardo, così la moglie e gli amici assemblano sul pc infinite foto e filmati che riproducono proprio il percorso, i borghi e i luoghi attraversati dall’antico cammino di Fede.
Nel calore di una sera d’estate, il gruppo di amici si riunirà al protagonista e insieme viaggeranno con gli occhi sino a tarda notte, per poi riprendere il passo al mattino seguente.
Ma altro, eterno cammino attenderà il protagonista, finalmente liberato dalla prigione del corpo, mentre sul desktop del computer lo mirerà benevola la cinta delle mura di Monteriggioni illuminata dalla luna.
RACCONTO VIAGGIARE CON GLI OCCHI
Era il mio sogno di ragazzo cresciuto tra i pioppeti dell’Emilia. Raggiungere la Toscana e da lì percorrere a piedi la via Francigena sino a Roma. Per anni ne avevo discusso con i miei più cari e intimi amici. Ormai avevamo convenuto su ogni particolare di un’esperienza che ritenevo unica e irripetibile, formativa e purificante.
La mia non era stata un’esistenza facile: dopo aver perduto mio padre ancora bambino, mi ero barcamenato tra mille problemi economici assieme a mia madre, una donna inacidita dalla solitudine e dalla mancanza di un lavoro stabile.
Dopo essermi comunque diplomato, avevo pensato di entrare in Seminario, ritenendo, in più occasioni e per diversi segni, di aver ricevuto la Chiamata dal Signore. Invece ad una festa sull’aia avevo incontrato una ragazza dolce e buona come il pane, Patrizia e con lei avevo deciso di formare una famiglia.
Sposati neanche ventenni, dopo un anno ci era nato Martino. Intanto io avevo trovato occupazione in un supermercato e pure Patrizia si arrabattava svolgendo con instancabile lena mansioni saltuarie.
Mia moglie sosteneva con forza l’idea del viaggio sulla Francigena: era disposta a lasciare il bimbo un paio di settimane ai suoi genitori per accompagnarmi lungo l’antico cammino dei pellegrini.
Assieme ai soliti amici, Luca, Marianna e Piero, studiando a fondo le carte geografiche e diversi libri, si era stabilito di partire dalla turrita San Gimignano per raggiungere Monteriggioni cinta dalle mura e da là, passando da luoghi suggestivi quali il Castello della Chiocciola e l’Eremo di San Leonardo al Lago, visitare la maestosa Siena prima di accarezzare la val d’Arbia e abbracciare il cuore verde della Valdorcia trafitto dai cipressi, rivolgendosi poi all’aspra montagna amiatina.
Pochi bagagli, solo uno zaino a testa, un cappello marrone, un bastone somigliante al bordone medioevale, abiti di tela adorni di conchiglie, lo storico simbolo dei pellegrini. Un maglione e un sacco a pelo per le notti da trascorrere, nella calura di un infuocato agosto, sotto il cielo stellato. Sandali ai piedi, barbe incolte (noi uomini!), capelli liberi al vento (le donne).
Dopo tanto rimuginare e programmare, in quell’inverno che adesso pare remoto, avevamo deciso di partire la prossima estate. Ma non avevamo fatto i conti con i brutti scherzi del destino. Un fine settimana cominciai a sentirmi stanco, un malessere improvviso, subdolo, che il medico di famiglia, il successivo lunedì, battezzò come influenza. Solo che la spossatezza non passava, avvertivo una certa difficoltà nei movimenti, così che cominciai a fare esami su esami. Il responso ci congelò. Una di quelle malattie che ti logorano negli anni e che alla fine ti riducono un vegetale, paralizzato, incapace di qualsiasi azione.
Da allora si sono avvicendate molte stagioni, ma oggi, il 1° agosto 2017, mi ritrovo sul punto di intraprendere la tanto attesa avventura. Ma come, direte voi, scettici? Tu che stai immobile in un letto, tu che respiri e vieni alimentato a mezzo di cannule, tu che non riesci più nemmeno a parlare, tu osi progettare un viaggio? È sera. Fa caldo, ma l’aria condizionata rende accettabile la temperatura della camera. Mia moglie e i miei amici sono accanto al letto. Patrizia mi tiene, amorosa, la mano. Forse piange, ma ormai lei ha imparato a farlo senza che dagli occhi le escano lacrime. Martino è al mare con i nonni: è ormai cresciuto, un ometto maturato in fretta, in parallelo con l’aggravarsi della malattia del padre.
Sullo schermo del pc, unica luce nella stanza in penombra, compare un bel profilo di San Gimignano. Quelle antiche torri mi entrano nelle iridi, provo a farmi catturare dalla loro atmosfera. Non è poi così difficile. Dirigo lo sguardo verso il cursore e la foto cambia, anzi, no, ora si tratta di un filmato. Il breve documentario illustra le bellezze e gli scorci di quel nobile borgo. Avverto di stare lì, finalmente vestito da pellegrino, un po’ impacciato ma fiero, nell’allegro andirivieni dei turisti che invade le strade e i negozi.
Un altro clic. Lasciata la confusione di un luogo che attrae visitatori da tutto il mondo, mi immergo in un’altra, quieta realtà, formata da sentieri di campagna, viottoli con muretti a pietra, roveti, piccoli fiumi semplici da attraversare nel periodo della secca.
Mentre, con il cursore, passo al di là da un rigagnolo con un balzo di schermo, avverto una gioia quasi infantile, impalpabile, rammentando i sassi fatti rimbalzare nei corsi d’acqua della mia Emilia, durante le vacanze estive e i piedi immersi in quella frescura negli afosi pomeriggi il cui silenzio era rotto solo dall’insaziabile frinire delle cicale. Comincio a sentirmi stanco, seppure il solo movimento che ora riesco a fare è quello di indirizzare un’occhiata verso il computer. Ma tutti noi presenti nella stanza, uniti da mille ricordi e momenti felici, sappiamo che dobbiamo andare avanti in questo nostro strampalato quanto intenso cammino, sappiamo bene che non ci sarà una seconda occasione (i medici sono stati precisi: non giungerà a settembre) e che il viaggio va completato, almeno per quanto possibile.
Vorrei fermarmi e annerire lo schermo, quand’ecco che, volgendo le foto, mi si para dinanzi l’inimitabile vista di Monteriggioni, altero baluardo in un paesaggio trapunto di papaveri. Fossi un vero marciatore della Francigena, è là che attenderei, trepido, la notte, stretto al corpo caldo di Patrizia. È là che, assieme a lei e agli altri compagni, attenderei di vedere la luna brillare sul profilo della cerchia muraria.
Poi, colto da afflato poetico, afferrerei una conchiglia del pellegrino, che porterei a turno all’orecchio mio e a quello della ragazza che tanto amo. Baciando entrambe, sussurrerei: “Immagina di essere in riva al mare, d’inverno. Siamo nel Medioevo. Una mano raccoglie dall’umida rena questa conchiglia e decide di farne simbolo della propria Fede in cammino”.
“Ascolta, Patrizia, il remoto lamento delle onde, che ad ogni sbattere sulla riva ricorda all’uomo l’infinito dolore del mondo. La nostra esistenza è pari a quell’onda che si esalta nella spuma, gonfia le proprie ali col vento, acquista rapidamente velocità per poi disperdersi in un attimo, al fatale incontro con la costa”
“Ma per un’onda dissolta, altre di continuo ne verranno. Così la vita si rinnoverà, come questa magica luna che ogni notte, ora piena ora spiccata in fragili quarti, non esita a cingere e illuminare la magia di Monteriggioni”.
Adesso è bene fermarsi. Col cursore compongo la frase: “Tutti a letto. Riprendiamo domani. Grazie”.
So che domani, attraversando il Monte Maggio e i bianchi sentieri della Montagnola, arriveremo, col nostro originale viaggio di immagini e filmati, sino all’incantata Siena, che raggiungeremo oltrepassando la storica Porta Camollia.
A questo punto, però, posso solo sognare il seguito. Il piccolo gruppo di amici è tornato a casa: ciascuno mi ha accarezzato e salutato con affetto. Anche Patrizia si dev’essere assopita, odo il suo morbido respiro, nel letto di fianco al mio.
No, stavolta non la sveglierò. Perché allarmarla? Perché farle chiamare il 118? Di quanti giorni allungherebbe la mia esistenza l’ennesimo intervento dei medici?
Con lo sguardo riaccendo il pc, non senza sforzo recupero il cammino interrotto. Voglio di nuovo vedere quella foto con la luna sopra Monteriggioni. La pongo, gigantesca, al centro del desktop.
Magari non raggiungerò mai Roma, sono comunque soddisfatto: abbiamo mantenuto la promessa. Siamo stati insieme sulla Francigena. Non a lungo, d’accordo, ma un tempo sufficiente a colmare le nostre anime. Peraltro, il resto del percorso posso anche immaginarlo e viverlo a occhi chiusi. Immaginare che le gambe miracolosamente funzionino, che un nuovo vento mi scompigli la chioma, che un nodoso bastone mi sorregga su strade malmesse.
Mi sembra davvero d’essere là, un palpito di emozioni su una strada che sale al cielo, mentre d’un tratto non sento più, accanto, il soffice ansito di Patrizia ma un respiro ben più vasto mi accoglie e mi abbraccia. Un senso di pace mi pervade mentre una conchiglia raccolta a riva, dimenticato per un attimo il carico di sofferenza del mondo, incorpora in sé la più dolce e nostalgica melodia del mare.