Al più bello et al più grande e magnifico pavimento che mai fusse stato fatto
Giorgio Vasari
È aperto solo due mesi l’anno – dal 18 agosto alla fine di ottobre – ma è uno dei più grandi capolavori dell’arte italiana. Si tratta del pavimento del Duomo di Siena, certamente celebre ma forse, nonostante tutto, sottovalutato. Una volta ammirato in quello che per una volta non è eccessivo definire “tutto il suo splendore” viene da domandarsi se la politica di coprirlo per ben dieci mesi l’anno sia davvero sensata, considerando che oltretutto la polvere filtra attraverso i fogli di masonite messi a schermo del pavimento, portando con sé il carico di acidità che è il nemico principale delle lastre di marmo che si intenderebbe proteggere. Depositi di acidità che a pavimento scoperto sono invece scongiurati dal circolare dell’aria e dalla semplice possibilità di pulire la superficie.
Domandandoci se non sarebbe il caso di cambiare definitivamente politica – anche al costo di relegare le funzioni religiose stabilmente nelle cappelle laterali (come avviene quando il pavimento è aperto) – lasciando alla città di Siena e al pubblico la possibilità di ammirare sempre un’opera certamente unica nel suo genere a livello mondiale, abbiamo messo insieme un po’ di informazioni per consentire, a chi non avesse ancora avuto modo di vederlo dal vivo, di provare a immaginare l’impareggiabile insieme di quest’incredibile volume miniato sul marmo.
Il pavimento del Duomo di Siena è un complesso di tarsie marmoree, frutto di un progetto decorativo durato sei secoli (dal Tre all’Ottocento), composto da più di sessanta scene, i cui cartoni preparatori sono stati forniti ai maestri che realizzavano le figure sin da subito da artisti di notevole spessore (tra questi ricordiamo Domenico dei cori, il Sassetta, Antonio Federighi, Benvenuto di Giovanni, Pinturicchio e, soprattutto, Domenico Beccafumi, che nel ‘500 introdusse tecniche espressive capaci di ottenere effetti paragonabili ai grandi cicli pittorici dell’epoca). Le decorazioni iniziarono in modo semplice, le prime formelle erano realizzate con la tecnica del graffito: sulle lastre di marmo venivano incisi dei solchi poi riempiti di stucco nero. Negli anni si cominciarono ad accostare marmi colorati alla maniera degli intarsi su legno: era la tecnica del commesso marmoreo.
Il tedesco Friedrich Ohly fu il primo a ipotizzare la presenza di un programma figurativo unitario portato avanti lungo il corso dei secoli. Giunse alla conclusione che ogni scena del pavimento fa parte di una rappresentazione della Salvezza, e che tutto inizia con le figure di ebrei e pagani sul sagrato esterno, che esclusi dalla salvezza restano fuori dalla cattedrale.
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Appena varcata la porta centrale troviamo a simboleggiare l’inizio della conoscenza terrana Ermete Trismegisto, che insieme alle dieci Sibille delle navate laterali fa parte del percorso ispirato alle Divinae Institutiones di Lattanzio. Dopo Ermete, lungo la stessa navata, c’è la Lupa che allatta i gemelli – unica figura realizzata a mosaico, probabilmente la più antica. Seguono le tarsie che rappresentano Siena e due immagini della Fortuna, la Ruota della Fortuna e l’Allegoria del colle della Sapienza, disegnata da Pinturicchio. In questa l'immagine della Fortuna ricorda fortemente la Venere del Botticelli. La donna si trova in una posizione instabile, uno dei piedi poggia su una sfera, mentre l’altro è su una barca in balia delle onde. La Fortuna riesce in ogni caso a far approdare su un’isola rocciosa alcuni saggi – intenti a raggiungere la vetta di quello che può far pensare al dantesco “dilettoso monte” o, perché no, allo stesso Purgatorio – saggi che una volta scesi procedono lungo un sentiero pieno di ostacoli. Sulla vetta li attende la Sapienza. La seconda donna con la mano sinistra offre un libro a Cratete – che nel frattempo getta in mare una cesta di gioielli. Con la destra dà una palma a Socrate. Il percorso che conduce alla Sapienza è arduo ma permette di conseguire la serenità: un altipiano coperto di fiori.
Ogni scena del pavimento sprigiona altrettanta varietà e ricchezza. Continuando lungo la navata centrale si arriva al transetto, dove sono raffigurate le storie della rivelazione. L’esagono sotto la cupola mostra scene di sacrificio, rimandano alla celebrazione eucaristica dell’altare. Ai lati ci sono invece le imprese militari del popolo ebraico cui si aggiunge la Strage degli Innocenti – il cui effetto di devastazione universale ci ha fatto pensare a Guernica di Picasso – e che è inoltre l’unica vicenda tratta da un Vangelo – quello di Matteo – a differenza di tutte le altre rappresentazioni, basate su Vecchio Testamento e fonti classiche.
Nell’esagono (dove si trovano le storie di Elia e Acab), e in alcune tarsie vicino all’altare (Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia, Storie di Mosè sul Sinai e Sacrificio di Isacco) ha lavorato Domenico Beccafumi, perfezionando la tecnica del commesso marmoreo sino ad arrivare a ottenere risultati di chiaro-scuro. In questa parte ai marmi precedentemente utilizzati si aggiungono almeno due tonalità di giallo che illuminano le scene come in nessun altro punto della cattedrale. Gli interventi di Beccafumi si distinguono per l’espediente di non eseguire più le ombre col tratteggio ma grazie all’inserimento di marmi di diverse tonalità, ottenendo un effetto di grande plasticismo, grazie alla possibilità di creare effetti di luce e d’ombra e, quindi, di volume.
Concludono il percorso le storie di Davide, che prefigura la figura di Gesù. Tra queste segnaliamo La morte di Assalonne, che appeso per i capelli a un albero fa pensare all’icastica iconografia di certe stampe giapponesi. Non rientrano nel disegno generale, invece, le Virtù del transetto destro, opere tardo-settecentesche nate quando il significato complessivo delle storie era ormai andato perduto.