Enogastronomia/ARTICOLO

Prosciutto toscano dop e pane sciocco, amore a prima vista

Un matrimonio inevitabile quello tra uno dei salumi della tradizione toscana e il pane (in attesa della DOP): viaggio tra storia, sapori e fasi della lavorazione 

/ Simona Bellocci
Ven 27 Novembre, 2015

Sono tanti i modi di gustare il prosciutto toscano DOP in cucina, soprattutto in un’epoca in cui tra i fornelli la sperimentazione è d’obbligo. Eppure ci sono degli amori culinari a prima vista che passano attraverso i secoli, tenendo vivi, come in uno scrigno di tesori, i sapori di un tempo. Così, per degustare il prosciutto toscano, il miglior modo è – ancor oggi – quello di stenderlo su due lunghe fette di pane sciocco, così come lo si produce in Toscana. Un matrimonio delizioso, di quelli che non conosce crisi e che i Consorzi dell’uno e dell’altro prodotto tutelano con disciplinari rigorosi, il vero segreto affinché queste due prelibatezze non perdano la loro esclusività e non conoscano imitazione.

Pane e prosciutto, in Toscana, vantano origini antiche. Il primo, veniva citato – in epoca romana - negli scritti di Tito Livio e durante il Rinascimento Leon Battista Alberti dedicò proprio al pane (in particolar modo alla sua "cassa di conservazione") qualche paragrafo nel suo trattato “De re Adificatoria”. Amato dai contadini che gli attribuivano virtù terapeutiche, venne prodotto senza sale dal XII secolo quando i pisani, nelle frequenti guerre contro Firenze, ne bloccarono il commercio con l’entroterra. Sciocco quindi ma non insipido visto che proprio la particolare fermentazione dei lieviti e dei batteri lattici rende il pane toscano ricco di sapore.

I fiorentini (come insegna la storia) sono per natura gente che "borbotta" ma non si perde d’animo, così risposero al dispetto dei pisani, accompagnando il pane sciocco da piatti assai saporiti. Caratteristica non solo di piatti ma anche di salumi che nascono in epoca medievale, come la finocchiona e il prosciutto. In particolare proprio i Medici, disciplinarono intorno al XV secolo la produzione del prosciutto toscano, con disposizioni che riguardarono l’intero processo di lavorazione. Proprio come oggi che a tutelare il prodotto c’è la Dop, riconosciuta dalla comunità europea dal 1996. A partire dai suini impiegati che devono essere rigorosamente nati, allevati e macellati in Toscana o in altre regioni limitrofe. Il gusto delicato, il rosso cremisi delle fette e il sapore intenso si ottengono poi grazie ad un’attenta lavorazione del prodotto che segue i tempi della natura, dalla selezione delle cosce fresche passando per la rifilatura (che consente di ottenere la forma tondeggiante del prosciutto), salatura, prestagionatura, sugnatura, stagionatura finale e – infine – spillatura e marchiatura. Fasi che durano un anno. Un anno nel quale ogni produttore riserva grandi attenzioni al prosciutto, affinché arrivi sul mercato senza “difetti di fabbrica”.

Ad esempio, per ottenere la forma tondeggiante durante la rifilatura, la parte finale della coscia non deve superare gli 8 cm dalla testa del femore del suino. La salatura è poi un altro momento determinante e caratterizzante per il prosciutto toscano dop. Ancora fresche, le carni, vengono infatti insaporite a secco con sale, pepe, alloro, rosmarino, bacche di ginepro, aglio e altri aromi tipici del  territorio. Non sono ammessi invece conservanti o additivi. Altra particolarità è la sugnatura che avviene dopo il periodo di prestagionatura di 3 mesi. Una procedura attraverso la quale il prosciutto viene protetto con un impasto di grasso di maiale macinato a cui vengono aggiunti sale, pepe e farina di riso. Quest’ultimo componente rende il prosciutto toscano assolutamente gluten free. Infine dopo un’ulteriore fase di stagionatura, si procede con la spillatura, per verificare le caratteristiche olfattive del prodotto. Per effettuare questo “test” sul prosciutto viene inserito un osso di cavallo a forma di grande ago, in alcune parti della coscia. Se i risultati sono positivi si può procedere con il marchio a fuoco, sigillo di garanzia della DOP.

A questo punto non rimane che degustare il prosciutto DOP con frutta dolce, come i fichi (meglio se quelli a km zero di Carmignano) e – come dicevamo – con il pane sciocco toscano, che ha attivato ormai da tempo il percorso di riconoscimento della DOP. Su questo intervenne la scorsa estate anche il governatore Enrico Rossi, ribadendo che la Toscana ha grandi ragioni per “chiedere il riconoscimento della Denominazione di origine protetta per il pane toscano”. Secondo il presidente della Regione con la DOP “crescerebbe la produzione di grano tenero e di conseguenza l’occupazione in agricoltura, tutelando il paesaggio toscano con il recupero di terre oggi abbandonante e aumentando la tenuta idrogeologica dei territori. E’ per questo che stiamo insistendo con Bruxelles” – spiegava Rossi ad agosto scorso.

Nell’attesa il pane toscano si fa coccolare dai prodotti che meglio si sposano con il suo “essere”, il prosciutto e l’olio che in questi mesi sfoggia il meglio di sé,  entrambi la Dop l’hanno già ottenuta, adesso tocca al pane. La svolta sembra vicina.


 

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