Buona parte degli intellettuali snob rabbrividiscono al solo pensiero che l'Italia sia conosciuta (e amata) nel mondo per pizza, spaghetti, pomodoro e mozzarella. Rabbrividiscono anche di fronte al fatto che la Toscana sia scelta come meta di viaggio più per i suoi cipressi e per i vigneti che per il fatto di essere patria di Dante, Petrarca e Boccaccio. Nonostante questo c'è chi invece, con il potere terreno della semplicità, ha capito di poter fondare un impero proprio puntando sull'enogastronomia di qualità e sui prodotti che ci regala la terra del Belpaese. Partendo da un concetto antico: "mangiare l'Italia".
Oscar Farinetti, patron di Eataly, figlio di un partigiano e imprenditore ottimista ha creduto nel potere economico che deriva da nocciole, pecorino, caffè, riso, finocchiona, prosciutto, pane e fagioli partendo dal fatto che il cibo è cultura, proprio come lo sono le opere d'arte di Michelangelo o quelle letterarie di Machiavelli.
Così - dopo aver aperto le sue botteghe del gusto - in America, Giappone e Turchia - Farinetti ha tagliato il nastro del suo decimo store italiano a Firenze, città cara all'imprenditore per più motivi: sia per l'amicizia e la vicinanza politica a Matteo Renzi, sia perché la città dei Medici incarna perfettamente lo spirito italiano fatto di eccellenza di cultura, arte e gusto.
Da oggi porte aperte al negozio-libreria-laboratorio di 2000 mq a due passi dal Duomo, in Via Martelli. Qui si può comprare, mangiare e imparare. Eataly prende il posto di uno dei luoghi storici del centro, la Libreria Marzocco, fondata nel 1840, editore de "Le Avventure di Pinocchio" di Collodi. Qui lavoreranno 122 giovani. Qui, in una città che ospita turisti da tutto il mondo, si potranno conoscere le prelibatezze della Toscana. La palamita, pesce povero ma gustosissimo. Il pane "sciocco", senza sale, come lo si produce a Firenze. I pici, speciale pasta fresca senese, da gustare con una spolverata di pecorino toscano e un buon bicchiere di Sangiovese. E poi i piatti storici della cucina povera di strada, di quello che oggi viene chiamato - perchè va di moda - "street food". A Firenze questi cibi solitamente si gustano in qualche piccola piazza del centro o nei mercati, avvicinandosi ai banchini dei "lampredottai". Sono la trippa, lo stracotto di guancia e il lampredotto in inzimino che sbarcano così anche nello store di Farinetti.
Ci saranno poi i libri, a ricordarci la cultura del cibo. Un laboratorio, per imparare non solo a cucinare ma anche a riconoscere il prodotto di qualità, a riscoprire la stagionalità dei menu e l'infinita varietà dei prodotti italiani. Un ristorante - che porterà il nome di Leonardo Da Vinci - sarà il teatro dove porterà in scena il suo talento, da gennaio prossimo - lo chef Enrico Panero. Non mancherà neppure un percorso museale, curato da Antonio Scurati - dedicato al Rinascimento, il periodo artistico-culturale che vide Firenze regina del mondo. La città vive ancor oggi di quell'immensa eredità. Già, rinascere. L'Italia ne ha bisogno. Il terreno, per fortuna, è ancora fertile. I buoni prodotti ci sono. Manca forse la consapevolezza di avere in mano la scala reale. Farinetti ha pescato le carte giuste. E le ha giocate bene.
Pensate ai centri storici soffocati da kebab, sushi, paninerie americane. Poi pensate al lampredotto. Oggi facciamo fatica a riconoscerne l'odore, in giro per la città. Un vero peccato. Da oggi un pezzo d'Italia apre a Firenze. Finalmente. Che possa essere uno sprone per far tornare tanti piccoli, grandi bottegai a riappropriarsi della città ripartendo dalle tradizioni e dalla qualità? Speriamo. Ne abbiamo tutti bisogno.
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