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Le favole in salsa ‘spaghetti-western’ dei Virginana Miller

Intervista a Simone Lenzi, leader della band che dopo una pausa di sei anni dalla scena musicale ha da poco pubblicato ‘The Unreal McCoy’

I Virginiana Miller gruppo ‘storico’ di Livorno dopo ben sei anni di assenza dalla scena musicale tornano con il nuovo album ‘The Unreal McCoy’, per la prima volta completamente in inglese, uscito su etichetta e distribuzione indipendente SANTERIA/Audioglobe. Il disco disegna in nove tracce un ritratto immaginario dell’America tra passato, presente e futuro. Venerdì 19 aprile i Virginiana Miller saranno in concerto al Glue Alternative Concept Space di Firenze per presentarlo. Ecco la nostra intervista alla voce della band Simone Lenzi.

Ciao Simone! In questi sei anni, da ‘Venga il regno’ del 2013, cos’è successo?
Ciascuno di noi ha fatto tante altre cose, io per esempio ho scritto dei libri. Nessuno di noi campa di musica, questo ci lascia molto liberi di dire le cose che vogliamo dire, quando le vogliamo dire, alla fine è la più grande forma di libertà che puoi avere.

Forse siete arrivati al punto della vostra carriera più bello, quello cioè in cui sostanzialmente potete fare tutto quello che vi pare, è così?
In realtà penso che lo abbiamo sempre fatto, però sicuramente d’ora in poi è solo puro divertimento.

Il titolo del nuovo disco ‘The Unreal McCoy’ nasce da un modo di dire della lingua americana…
Sì The Real McCoy si usa quando vuoi dire ‘questo è l’originale’ o ‘è autentico’, The Unreal McCoy è un gioco di parole, il ‘falso-vero’.

La scelta di cantare in inglese ha preso tutti un po’ alla sprovvista, ma a me sembra sia come una maschera per interpretare un ruolo un personaggio diverso dal solito, è così?
Si trattava di raccontare un viaggio americano e quindi alla fine abbiamo fatto una sorta di ‘Spaghetti-Western’, la scelta dell’inglese era inevitabile per raccontare quel mondo. È come quando Salgari immaginava le tigri della Malesia senza muoversi da Torino. È un ‘fake’, ma come spesso capita nel falso c’è anche un po’ di vero.

Il vostro amore per l’America è più musicale, letterario o cinematografico?
Tutte e tre le cose insieme. Siamo cresciuti all’estrema periferia di quell’impero, quindi è stato inevitabile che andassimo al centro, come a una fonte da cui si irradiano tante suggestioni. È un amore di vecchia data.

Ho anche immaginato che quando avete fatto la scelta dell’inglese forse avevate in mente un tour all’estero…
In realtà ci piacerebbe però non l’abbiamo fatto perché pensavamo che avremmo conquistato i mercati mondiali con questo disco. L’abbiamo fatto perché era il modo migliore per affrontare queste storie, poi tutto quello che viene è benvenuto.

Mi sembra che ognuno senta influenze diverse in questo disco. Un pezzo come ‘Lovesong’ mi ha ricordato una di quelle ballad maledette tra amore e morte di Nick Cave
Anche sì, è inevitabile visto che Nick Cave è uno di quei ‘mostri sacri’ che fanno parte del nostro patrimonio di ascolti. Dentro c’entrano anche tante influenze di musica americana che negli altri dischi avevamo lasciato da parte, perché era difficile usare quella tradizione scrivendo musica di forte matrice europea.

In questo disco hai un modo di cantare un po’ alla ‘cowboy’, sai che la sella dei cowboy doveva essere comoda perché macinavano chilometri, e così tu hai un modo di cantare ‘comodo’ se mi passi la similitudine
Questa è una bella immagine, seduto su una sella da cowboy va bene.

La canzone ‘Albuquerque’ mi ha acceso una lampadina in testa perché è la cittadina dove si svolge una delle mie serie preferite cioè ‘Breaking Bad’, c’è un collegamento?
Sicuramente, ci sono due aspetti. Primo perchè Albuquerque è la città più vicina al sito dove ci fu il primo esperimento nucleare, secondo anche per Breaking Bad. È la città che immagini dopo l’apocalisse.

Questo spostarsi con la narrazione nel western, è un modo per fuggire dalla realtà oppure un modo per parlarne sotto forma di metafore?
È tutte e due le cose contemporaneamente. Questo paese l’Italia attraversa un momento di tristezza assoluta, francamente se avessi scritto in italiano, avrei dovuto parlare di Salvini e Di Maio, ma siccome non voglio sprecare una parola per loro due allora preferiamo cantare tutt’altro. Poi in questo tutt’altro in realtà c’è uno specchio della realtà. Una canzone come Lovesong parla del quinto emendamento cioè del diritto degli americani di possedere armi, se pensi al decreto sicurezza di Salvini vedi che la canzone può fare da specchio anche alla nostra realtà, ma da lontano.

Venerdì 19 aprile sarete in concerto al Glue Alternative Concept Space di Firenze, avete anche altre date?
Il 18 maggio saremo in concerto a Pisa al Teatro Lumiere e stiamo fissando anche altre date in Toscana.

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